Agenzia matrimoniale
Opera buffa in un atto
Libretto di Roberto Hazon e Ida Vallardi Hazon
Musica di Roberto Hazon
Personaggi e interpreti:
Argia: Gladys Rossi
Adolfo: Armando Gabba
La barbona: Elisabetta Martorana
La segretaria: Lieta Naccari
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Il segreto di Susanna
Intermezzo in un atto
Libretto di Enrico Goliascini dallo scherzo comico Il puzzo del sigaro di Amilcare Belotti
Musica di Ermanno Wolf-Ferrari
Personaggi e interpreti
Il conte Gil: Bruno de Simone
La contessa Susanna: Arianna Vendittelli
Sante: Davide Tonucci
Maestro concertatore e direttore: Enrico Calesso
Orchestra del Teatro La Fenice
Regia: Bepi Morassi
Scene, costumi e luci: Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia
Scene: Sebastiano Spironelli
Costumi: Caterina Righetti
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
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L’Atelier della Fenice al Teatro Malibran, felice collaborazione tra la Fondazione Teatro La Fenice e i principali istituti cittadini di formazione artistica, chiude il progetto rossiniano, portare in scena tra il 2012 e il 2015 le farse del Pesarese per il San Moisè, e si apre al contemporaneo. I giovani si sono cimentati con due titoli poco rappresentati, Agenzia matrimoniale di Riccardo Hazon e Il segreto di Susanna di Ermanno Wolf-Ferrari. Entrambe opere buffe in un atto, sono accomunate da due donne, un ‘non detto’, la breve durata e lo scontro col sesso maschile. Solitudini in una Milano nebbiosa primo Novecento quelle descritte da Hazon che, seppur all’altezza del 1962, adopera linguaggi tonali assai orecchiabili, con chiare venature jazz qua e là malinconiche. Perché tale è la vicenda di Argia, umile guardarobiera di cabaret che cerca la dolce metà tramite un’agenzia matrimoniale. Con Wolf-Ferrari non ci si sposta molto geograficamente. Susanna abita a Torino e il fumo, vizio proibito e sconveniente, diventa occasione letteraria e musicale. Il compositore condensa in circa cinquanta minuti la tradizione dell’intermezzo settecentesco, Mozart, Rossini e Verdi, consegnando ai posteri un lavoro denso nell’orchestrazione e nelle vocalità.
Bepi Morassi, alla guida dell’Atelier e fiero alfiere di un artigianato teatrale che sa di legno e colla, separa le due vicende pur sfruttando il medesimo impianto scenico e puntando tutto su luci e emozioni. Evade Argia dalla realtà grigia, costruendosi un mondo altro allucinato, ma ricco di riferimenti alti e preziosi. Anche Susanna si vuol straviare, meno della prima però perché nell’agio ci sta bene. Le scene di Sebastiano Spironelli, una pedana e uno sfondo luminoso che interagisce con i climax emotivi, si confanno alle idee di Morassi. Un divano, qualche tavolino e poco più. Argia vive dentro un armadio in cui trentacinque costumi, disegnati come gli altri da Caterina Righetti, calano dall’alto a livelli differenti. Cavalli a dondolo e balocchi pendono invece a dire quanto Susanna sia donna ancora non compiuta o matura da poco.
Interessante la direzione di Enrico Calesso, intrisa di brillantezza e spigliatezza costante. L’orchestra copre sovente Rossi, lacunosa in volume ed emissione, mentre nel Segreto tutto fila a perfezione, grazie allo splendido amalgama con i due interpreti in scena.
Argia richiede salda padronanza del registro acuto e grave, oltre a un declamato da vera attrice drammatica. Gladys Rossi possiede indiscutibile presenza scenica, ma non posso nascondere corpose riserve sull’esecuzione, causa l’esiguità dello spessore vocale. Armando Gabba risolve discretamente la parte d’Adolfo. Elisabetta Martorana, la barbona, risente di un canto troppo pastoso che rende incomprensibile il già difficile testo della cansun milanese d’inizio atto. Corretta Lieta Naccari nell’esiguità del ruolo segretariale.
Sugli scudi il cast dell’intermezzo. Arianna Vendittelli, giovane soprano di rara bellezza, dimostra solida preparazione tecnica che le permette d’affrontare con sicurezza anche i passaggi più impervi. Voce omogenea, spigliata, Vendittelli sta in scena con arte e gusto. Bruno de Simone, veterano del repertorio comico, è conte Gil un po’ attempato, ma dalla voce pulitissima, smagliante e malleabile, ricca di sfumature e contrasti che restituiscono appieno il personaggio. Gigione, complice e malizioso il Sante di Davide Tonucci.
Applausi per tutti da parte dell’esiguo pubblico, perché, si sa, Barocco e Contemporaneo spaventano ancora.