Opera in tre atti
Libretto: Dmitrij Šostakovič, Georgi Jonin, Alexander Preiss, Jewgeni Samjatin dall’omonima novella di Nikolai Gogol
Musica: Dmitrij Šostakovič
Personaggi e interpreti:
Platon Kuz’mič Kovalëv: Marco Di Sapia
Ivàn Jakovlevič barbiere/Ivàn Ivanovič viaggiatore: Igor Bakan
Il commissario di polizia: Pablo Cameselle
Ivàn servo: Lorin Wey
Il Naso: Alexander Kaimbacher
Pelagia Podtočina: Tamara Gallo
Filia di Podtočina: Ethel Merhaut
Praskov’ja Osipovna/commessa: Megan Kahts
Il funzionario della redazione/il dottore: Georg Klimbacher
Mendicante/cocchiere: Francis Tójar
Direzione musicale: Walter Kobéra
Regia: Matthias Oldag
Scene e costumi: Frank Fellmann
Luci: Norbert Chmel
Coro: Wiener Kammerchor
Maestro del coro: Michael Grohotolsky
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Coproduzione Neue Oper Wien con CAFe Budapest Festival, Müpa Budapest, Fondazione Haydn Stiftung
La stagione d’OPER.A.20.21 si chiude al Sociale di Trento con Nos, prima opera del ventiduenne Šostakovič. Iniziale approccio al teatro musicale datato 1928 e presentato a Leningrado due anni dopo, elegge a soggetto l’omonima novella di Gogol anziana di circa un secolo. Scelta questa di continuità culturale nel teatro musicale nazionale, ricco di ripescaggi dalla letteratura nazionale, oltreché occasione certa di satira contro il sistema burocratico leninista. Per Šostakovič Nos è l’apoteosi dell’estremo, celebrato non solo dall’irrealtà dei fatti, ma anche dalla vocalità declinata in ogni sua forma e dalla poliedricità dei generi, accostati tra loro a sortire il voluto effetto grottesco.
Spettacolo nel complesso godibile e di rara qualità il Nos proposto dalla Fondazione Haydn, già apparso a Vienna e Budapest. Matthias Oldag pensa a un mondo pieno di nasi pronti a cadere e quello di Kovalëv è solo uno dei tanti a farlo. L’uso dello spazio è totale, estendendo il regista l’azione attorno al golfo mistico e in platea a confermare l’universalità della vicenda. La società ove vive Nos è degradata, corrotta, e Oldag, sulla scia dell’imperante eccesso che attraversa il libretto e la musica, reinterpreta per esempio Praskov’ja Osipovna come bagascia alcolizzata e le due Podtočina quali ambigue mondane. In generale permane un’eloquente serietà, volta a un grottesco concettuale spesso di non facile decifrazione, nel caso a qualcuno interessasse procedere verso questo senso. Non è più ottocentesca la San Pietroburgo creata da Frank Fellman, bensì un luogo sospeso tra gli anni Venti e l’oggi, se si scorgono saggi sulla politica estera di Putin, mondo dove il chiaror del sole non arriva, affossato dalle inquietanti e cupe luci di Norbert Chmel.
Esiti ottimi sul versante musicale. Walter Kobéra dirige l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, in stato di grazia, con perfetta disinvoltura, risaltando le tinte stridule e i ritmi meccanici, optando per dinamiche pertinenti senza perdere il rapporto con i cantanti.
Tra questi spiccano Marco Di Sapia, Kovalëv dal bel fraseggio vario e atteggiamento carismatico, e Igor Bakan nel doppio ruolo di barbiere e viaggiatore. Lorin Wey risolve egregiamente la parte del servo, assai impegnativa per la tessitura acuta. Elegante Alexander Kaimbacher come Naso, al pari di Tamara Gallo e Ethel Merhaut, rispettivamente Podtočina senior e junior. Sovente non lineare l’acuto di Pablo Cameselle, commissario mellifluo. Completano il cast Georg Klimbacher, funzionario e dottore, e Francis Tójar, mendicante e cocchiere.
Il Wiener Kammerchor, eccelsamente preparato da Michael Grohotolsky, conta sul sicuro saper fare dei componenti al completo, intascando un risultato eccellente.
Consensi calorosi per tutti da parte del pubblico, ahimè scarso, alla recita del 24 aprile.