Nato prematuro, gobbo, orribile: nonostante sia stato sfavorito alla nascita, Riccardo non rinuncia ad essere uno dei protagonisti della Guerra delle Due Rose, nella quale si schiera a favore del fratello Enrico. La fine del conflitto, non gli darà requie: ora che ha combattuto e vinto accanto al legittimo sovrano, perché non prenderne il posto?
La storia ha consegnato alla fantasia di William Shakespeare un Riccardo III orrendo, deforme, mostruoso, dotato di una mente perversa e di una sfrenata ambizione. Thomas Ostermeier, direttore della Schaubühne di Berlino, presenta la sua interpretazione del personaggio Riccardo: violento, animato da una rabbia incoercibile che inizialmente rivolge contro i nemici del fratello Edoardo, re prima di lui, quindi dopo la morte di questi, contro tutti coloro che ostacolano la sua ascesa al potere, Riccardo è altresì uno splendido seduttore e manipolatore che usa con abilità machiavellica traumi e risentimenti altrui per farne gli strumenti della propria scalata. Definito dalla critica tedesca “sublime e sensazionale”, lo spettacolo è il ritratto di una classe dirigente divorata dalla sete di potere e destinata ad essere spettatrice del trionfo di un dittatore perverso.
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Riccardo III: il potere della seduzione
Intervista a Thomas Ostermeier
dal programma di sala dello spettacolo
a cura dell’Ufficio Edizioni del Piccolo Teatro di Milano
Chi è Riccardo III per Thomas Ostermeier?
Spesso e volentieri Riccardo III viene interpretato come un “cattivo” esemplare della storia del teatro. Secondo me questa visione è troppo unidimensionale e non dialettica, perciò registicamente insoddisfacente; soprattutto non rende giustizia al personaggio che Shakespeare ha scritto. Riccardo è affascinante non tanto perché si afferma con mera brutalità e scelleratezza, quanto perché agisce con straordinaria eleganza e per l’intelligenza, retorica e logica, con cui capovolge le convenzioni e le aspettative; possiede una duttilità che lo distingue profondamente da tutti gli altri personaggi.
Li mette in ginocchio con la seduzione, non con la violenza: non minaccia Lady Ann ma la conquista nel momento in cui capovolge i ruoli, si mette a nudo e le consegna la spada. In questo modo riesce a portare il pubblico dalla propria parte, spesso avanza alla ribalta per dialogare con gli spettatori, rendendoli complici delle proprie azioni, assicurandosene la simpatia, trasformandoli in propri alleati contro gli altri personaggi. In ultima analisi è anche “uno di loro”, poiché incarnando il personaggio “del vizio” della tradizione teatrale popolare, sale sulla scena elisabettiana venendo dalla platea. Riccardo riesce, contro ogni razionalità, a farsi portatore dei desideri occulti degli uomini, in palcoscenico come in platea. A dispetto della propria deformità – o forse in conseguenza di questa – si fa catalizzatore dei rancori e delle passioni represse di tutti quanti.
Qual è la chiave dello straordinario fascino che quest’uomo, deforme fisicamente e moralmente, riesce a esercitare su tutti coloro che lo circondano?
È quanto dicevo poco fa. Il fascino di Riccardo non risiede in lui, bensì negli altri, nel loro odio e nella loro amarezza. Perciò non ha bisogno di sedurre ricorrendo alla bellezza fisica o interiore: il suo maggior talento sta nel fatto di saper riconoscere i punti deboli, i traumi, di individuare e comprendere quali siano state le umiliazioni e le offese subite da ciascun singolo personaggio, per poi sfruttare tali debolezze ai propri fini. Gli altri personaggi non lo seguono perché lo trovano affascinante ma perché sperano in un vantaggio concreto: molti di loro, come Hastings e Buckingham, che facevano parte delle élite politiche di antico lignaggio, vengono ora privati dei diritti acquisiti da una nuova nobiltà, riunita intorno a Elisabeth; altri, come Lady Ann, che fa parte di una dinastia detronizzata, assistono alla propria disfatta sociale.
Riccardo riesce a infondere in loro la speranza, ben fondata, di un’ascesa o della riacquisizione della loro posizione, si finge avvocato della loro causa, rinfocola i loro sentimenti feriti fino a quando non ne ha più bisogno e quindi se ne libera: uno schema molto noto, messo in atto anche da molti politici populisti in diverse epoche storiche.
Harrower, Ravenhill, Norén, Fosse per la drammaturgia contemporanea ma anche i classici Shakespeare e Ibsen, per il quale nutre una vera passione.
Come sceglie i testi da mettere in scena?
Se un testo è classico o contemporaneo, per me è un criterio secondario. Per me è più importante vedere quali possibilità offra. Alla Schaubühne dirigo un teatro di repertorio con un ensemble stabile di trenta attori. Ciò significa, per me, individuare in un testo quali ruoli e quali possibilità artistiche per i miei attori esso contenga. Mi appassiono ai testi che offrono situazioni drammatiche, cioè che trattano un conflitto fra i personaggi e fra i ruoli sociali che essi ricoprono, che proprio per tale conflitto sono sintomatici del tempo in cui viviamo. Prediligo quei testi che offrono la possibilità di mostrare le contraddizioni della società, che sono le nostre e le mie personali, rendendole evidenti, senza però ridursi a puntare continuamente l’indice su di esse.
Vedere attori avanzare in palcoscenico, impugnare un microfono e urlarmi in faccia la verità o interpretare un monologo sull’isolamento e l’incomunicabilità dell’uomo contemporaneo, teatralmente, non mi interessa. Molti testi contemporanei purtroppo sono scritti così; per questo motivo spesso mi confronto con i classici, come nel caso di Riccardo III. È vero che anche nella mia regia il protagonista ha un microfono e si spinge alla ribalta, ma quante altre cose offre questo dramma, oltre a quei momenti di dialogo con il pubblico!
Di Shakespeare si dice sia intraducibile. Per questa regia non ha scelto un semplice traduttore, ma un Dramaturg affermato come Marius von Mayenburg.
Intendeva in questo modo connotare anche linguisticamente il “suo” Riccardo?
Non sono d’accordo. Anche se Shakespeare è complesso da rendere, per noi non anglofoni, il fatto di doverlo tradurre è il più grande regalo possibile. Per un regista inglese, la difficoltà risiede infatti nel confronto con un testo in una lingua oggi non più parlata e che, soprattutto per le ultime generazioni, presenta serie difficoltà di comprensione. Il linguaggio di Shakespeare è talmente forte e il testo talmente inserito in un canone, che è molto difficile, per un inglese, presentare a un pubblico anglofono uno Shakespeare “moderno” e rivisto linguisticamente: soprattutto rende quel regista immediatamente attaccabile. Noi non abbiamo questo problema: da secoli ogni generazione di teatranti ha lavorato a nuove traduzioni di Shakespeare e con ciò a un proprio Shakespeare contemporaneo. Accade in Germania – ma immagino che in Italia e negli altri paesi di lingue neo latine non sia diverso – che la ricezione odierna dei testi shakespeariani sia fortemente influenzata dai traduttori del primo Ottocento, per i quali era fondamentale tentare il più possibile di riprodurre la metrica e lo schema originale dei versi. Spesso si crede che il vero Shakespeare stia in queste traduzioni che però sono assolutamente figlie dei loro tempi. Sono interpretazioni romantiche di un poeta rinascimentale e privilegiano l’estetica del verso alla concretezza del linguaggio shakespeariano: si sono perciò molto allontanate dall’originale. Marius von Mayenburg, che ha rielaborato tutti i drammi shakespeariani da me messi in scena, prende la strada opposta: ritornare molto vicino alla lettera del testo di Shakespeare e a ciò che lì viene discusso. E proprio questa precisione “non levigata” conferisce alle sue versioni un linguaggio particolare e sempre sorprendente.
Cosa significa per lei tornare al Piccolo Teatro, a diciotto anni di distanza da Disco Pigs di Enda Walsh?
Come direttore della Schaubühne sento una comune identità e una sorta di affinità interiore con il Piccolo perché i nostri teatri hanno una storia molto simile: tutti e due sono stati creati, dopo la guerra, da artisti che andavano in cerca di nuove forme espressive al di là del teatro convenzionale di quel tempo. Come il Piccolo, la Schaubühne è un teatro stabile con un proprio repertorio che esprime fortemente l’estetica del suo ensemble e dei registi che ci lavorano.
Personalmente e oltre a ciò, il ritorno al Piccolo è un’esperienza particolare perché fra Disco Pigs e la 150a rappresentazione di Riccardo III che festeggeremo sabato 27 al Teatro Strehler, si è svolto un intero percorso artistico. Così, per questa lunga assenza, il mio viaggio a Milano diventa paradossalmente una sorta di ritorno alle origini.
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L’incontro
Venerdì 26 maggio, ore 17, al Chiostro Nina Vinchi (via Rovello 2), Thomas Ostermeier incontra il pubblico. Intervengono Sergio Escobar e Flavia Foradini.
In collaborazione con Goethe Institut Mailand.
Ingresso gratuito con prenotazione sul sito www.piccoloteatro.org
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Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi – M2 Lanza), dal 25 al 27 maggio 2017
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Richard III
di William Shakespeare
traduzione e drammaturgia Marius von Mayenburg
regia Thomas Ostermeier
scene Jan Pappelbaum
costumi Florence von Gerkan
luci Erich Schneider
musica Nils Ostendorf
video Sébastien Dupouey
drammaturgia Florian Borchmeyer
burattini Ingo Mewes, Karin Tiefensee
con Thomas Bading, Robert Beyer, Lars Eidinger, Christoph Gawenda,
Moritz Gottwald, Jenny König, Laurenz Laufenberg, Eva Meckbach,
Sebastian Schwarz, Thomas Witte (batterista/percussionista)
produzione Schaubühne Berlin
Spettacolo in lingua tedesca con sovratitoli in italiano
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Orari: giovedì e sabato, 19.30; venerdì 20.30.
Durata: 150 minuti
Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro
Informazioni e prenotazioni 0242411889 – www.piccoloteatro.org
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