In una fredda e assolata mattina di novembre, davanti ad un ottimo caffè casalingo ed in compagnia di due gatte, incontriamo Lorenzo Ugolini, in arte Hugolini: musicista e cantautore fiorentino già noto al pubblico appassionato del genere folk pop per la sua carriera con il gruppo Martinicca Boison, Hugolini ha intrapreso la sua avventura da solista pubblicando a maggio di quest’anno il suo primo album, prodotto da Enrico “ERRIQUEZ” Greppi della Bandabardò.
Le 10 canzoni di cui è composto il suo disco nascono dalle immagini, dalle suggestioni e dalle idee annotate istintivamente su un’agenda, uno sketchbook di parole, disegni ed impressioni.
Ad accompagnare il colore e la vivacità delle sue canzoni sono sonorità pop, elettroniche e tropicali tradotte attraverso strumenti acustici (l’ukulele, la chitarra, il cavaquinho, la clavietta e la fisarmonica) ed elettronici (drum machine, sintetizzatori, tastierine Casio Vintage e campionamenti).
2005: esce il primo album dei Martinicca Boison “Per non parlare della strega”.
2017: esce il primo album, omonimo, di Hugolini.
Quali sono le diversità creative e realizzative e quali le emozioni che ha provato Lorenzo nel tenere in mano prima l’uno e poi l’altro?
Cominciamo con l’evidenziare il fatto che i Martinicca Boison erano un gruppo, mentre Hugolini è un solista; ci sono dei pro e dei contro. Quando si scrive per una band, le canzoni erano il frutto di un lavoro lunghissimo che doveva rappresentare una band intera non solamente chi buttava giù i pezzi (tendenzialmente io), mentre scrivere per sé significa scrivere più velocemente, senza limitazioni; certo, è necessario porre attenzione a tantissimi altri aspetti, però si può parlare in prima persona, senza dover tener conto del fatto che dovrebbe essere una voce univoca. Canti te stesso. Ci ho fatto caso, ed in effetti praticamente quasi tutte le canzoni dell’album sono scritte in prima persona; se questi 10 brani fossero stati cantati all’interno di una band, sarebbe passata l’immagine di un cantante un pò presuntuoso, narciso, che parla sempre di se stesso, senza pensare agli altri; invece così creo il mio disco: ci metto la faccia, il nome, posso parlare degli argomenti che mi interessano o che mi sensibilizzano di più, posso arrangiare i brani a modo mio (ed infatti ogni canzone ha un arrangiamento diverso), quindi un po’ la differenza sostanziale è questa.
Ci sono poi aspetti tecnici da tenere in considerazione: prima scrivevamo le canzoni su un’agenda, d’estate, di getto e poi le provavamo e riprovavamo e provavamo ancora in una sala prove; erano quindi il frutto di un lungo lavoro comune realizzato insieme in tutte le sue fasi. Ora la situazione è diversa, è un po’ “cotto e mangiato”: suono tutto da solo con l’utilizzo della tecnologia (utilizzandolo prima uno strumento poi un altro, assemblandoli in seguito), mi porto in giro una specie di studio mobile grazie al quale scrivo e nel mentre registro; poi ciò che esce fuori lo fai sentire, magari aggiungi un assolo di uno strumento in un secondo momento o lo spedisci dall’altra parte del momento per farti fare il controcanto; è tutto molto più tecnologico, più frenetico, ed è bello anche per questo.
Inoltre parliamo di due momenti della vita totalmente diversi: quando abbiamo dato vita ai Martinicca erano i primi anni Duemila, facevo l’università ed ero più libero, invece adesso lo studio ha passato il testimone al lavoro: faccio il musicista, insegno pianoforte, coordino le attività della scuola di musica, ho fondato l’associazione “La scena muta”, insomma ho un’età che mi impone un certo grado di responsabilità e che comporta una maggiore consapevolezza, delle tempistiche e delle necessità diverse. Nonostante questo, però, non ho nostalgia del passato, mi piace questo momento della mia vita.
Inoltre non c’è stata una rottura con i Martinicca Boison, i membri del gruppo ti seguono sempre, no?
Sì sì certo, continuiamo ad andare super d’accordo, in pace ed in contatto praticamente tutti; anzi mi aiutano e mi incentivano in questa mia missione in solitario. Inoltre Frank, Francesco Cusumano, suona sempre con me.
Il tuo disco è uscito a maggio, quindi possiamo già fare un bilancio estivo…
È stato ottimo! Ho fatto 30 date in tutta Italia, di cui 7 aprendo i concerti di Francesco Gabbani; poi qualche dj-set molto “ganzo”, ad esempio presso “Nano Verde”, un bar sulla spiaggia a Rio Torto in Toscana, che è un paradiso del divertimento sempre molto frequentato. Ho partecipato a diversi Festival, in su e giù per l’Italia. Sono rimasto molto soddisfatto; è stata un’estate a zonzo praticamente, sempre in giro: tornavo due giorni a casa, poi ripartivo per altri 4, tanto che le mie gatte hanno imparato il significato di autosufficienza.
L’esperienza in tour con Gabbani ti avrà sicuramente arricchito il tuo “zaino” di note e di parole, ma sicuramente anche di condivisioni, conoscenze, incontri, gente….
È vero, ho aperto i suoi concerti, ma facciamo parte della stessa etichetta discografica (BMG), quindi già di partenza non mi sono sentito estraneo a quella famiglia: siamo stati coccolati, trattati benissimo da tutta l’organizzazione ed in particolare modo da lui e dalla sua band, ragazzi in gamba, di Massa Carrara, conterranei praticamente. Francesco è una persona molto disponibile ed alla mano, quindi siamo stati veramente bene. In più ho avuto l’onore di suonare in quelli che reputo alcuni dei luoghi più belli in assoluto: una su tutte Carroponte a Milano, un’ex area industriale adesso adibita i concerti diventata uno dei principali e più interessanti luoghi di aggregazione di Milano e hinterland, dove oltre alla presenza delle migliaia e migliaia di persone, eravamo catturati anche dalla struttura architettonica, che mi dava l’impressione di cantare e suonare dentro un’astronave. Altra astronave il Parco della Musica a Roma, un auditorium davvero strepitoso, come anche il Teatro Romano di Verona, l’Arenile di Napoli, Bologna, per non dimenticare poi piazza Santissima Annunziata a Firenze, casa mia. Una location più bella dell’altra, insomma e veramente tantissima affluenza di pubblico, anche perché quest’estate Gabbani era l’artista del momento e ci si aspetta una presenza massiccia di spettatori, molto affettuosi ed anche curiosi di ascoltare le note del “povero Hugolini” che suonava prima. Concerto dopo concerto ho notato, tuttavia, che queste aperture diventavano sempre più conosciute, grazie anche ad uno zoccolo di fedelissimi che passa la voce, gira l’informazione e si sposta con me concerto dopo concerto. Dopo le prime 2/3 date, quelle circa 300 persone nelle prime file sapevano già tutte le canzoni, quindi è stato emozionante ed utile sotto tutti i punti di vista.
In un’intervista dicevi che con l’ironia e la leggerezza combattevi la diffidenza nei confronti della gente, ma tu sei davvero diffidente? O è solo un cercare di “sviare” il pubblico dal tuo vero io?
No no, non sono diffidente… È vero, le mie canzoni sono piene di leggerezza ed ironia, ed attraverso questi due atteggiamenti cerco di raccontare degli stati d’animo, dei momenti che spesso leggeri non lo sono affatto. Vado a ricercare la leggerezza nello scrivere proprio perché in questo momento della mia vita ricerco dalla musica una valvola di sfogo; mentre in passato ascoltavo i C.S.I. (folk rock, new wave, rock alternativo) o generi anche più tosti, ora mi piace ascoltare la musica per alleggerirmi l’animo, non per appesantirlo ed anche nelle mie canzoni io cerco di trasportare ritmo e leggerezza. Caratterialmente l’ironia mi contraddistingue da sempre ed ho sempre cercato di esorcizzare così anche gli avvenimenti più dolorosi o tristi: cerco di trattarli sempre con un linguaggio che non faccia sprofondare, ma che piuttosto innalzi. Il senso è questo: la mia è una leggerezza consapevole, non mi sento una persona che non è a contatto con tutta la parte dell’inconsistenza della vita, della fragilità dell’uomo e di tutte queste tematiche profonde, anzi ne ho molta coscienza; sono, dentro di me, molto malinconico, molto…
Qualcuno mi dice che sono sempre allegro e che do l’impressione di non avere problemi: ecco, è, appunto, un’impressione e si sbagliano di grosso perché in realtà dentro ho tante cose che mi ribollono, però quando le tiro fuori, quando le vado a raccontare (anche storie dolorose), il mio modo di fare le traduce in una versione più leggera in modo tale che chi le ascolta non sprofondi nella storia ma la viva sempre in maniera narrativamente leggera, e credo che questo aspetto si noti e si senta nelle canzoni…
È una leggerezza che non è sinonimo di superficialità…
Esatto… Oddio, non dovrei essere io a dirlo lo dovrebbero dire gli altri, però è vero, si tende ad accomunarle. Non mi sento superficiale, mi sento leggero; quindi leggerezza consapevole perché non è cieca, non è voglia di divertimento cieco, bisogna ricordarsi che c’è sempre all’orizzonte, anzi nell’underground qualcosa di “oscuro”, profondo che ribolle e torna a galla da queste canzoni.
A novembre hai partecipato alle selezioni per Sanremo Giovani, passando la prima grossa selezione, con una nuova canzone dal titolo “Babele”. Cosa ci puoi dire su questo pezzo?
Non lo so, non so dove andrà a finire questo pezzo, non sono neanche sicuro se si farà un video.
Ho conosciuto, ai concerti di Gabbani, Fabio Ilacqua che è autore di alcuni testi di Gabbani (tra cui “Amen” ed “Occidentali’s Karma”), e da lì è partita un’amicizia che è sfociata in una collaborazione. Io gli ho fatto sentire una musica che avevo in mente e lui ha aggiunto le parole ed è nato questo pezzo: ci siamo iscritti a Sanremo Giovani 2018, siamo entrati nei 68 finalisti, cantando a Roma al cospetto di Claudio Baglioni, ma poi il pezzo purtroppo non è passato alla fase successiva.
Considerando che te l’ha scritta un altro non la senti tua?
Diciamo che ha un modo di scrivere diverso dal mio, ma non per questo non è interessante. Devo interpretare, come se fossi un attore in quel momento io vesto i panni di una canzone che non ho scritto; in qualche modo è come se entrassi in un altro personaggio, quindi in questo è sempre molto stimolante cantare una canzone della quale non hai scritto il testo.
C’è sicuramente un lavoro diverso dietro…
Sì, c’è un lavoro diverso dietro ed è anche interessante se stimi la persona che l’ha scritta, e Fabio ha la mia massima stima perché è un personaggio incredibile che ho conosciuto nell’ambiente musicale; quando poi siamo andati a lavorare insieme sulla canzone ed abbiamo vissuto anche qualche giorno a stretto contatto nella sua casa sulle colline di Varese, dall’idea che mi ero fatto di lui ne è venuta fuori completamente un’altra: non immaginavo certo l’autore di due testi che hanno vinto il Festival di Sanremo come una persona che vive in mezzo alla natura e lavora la terra. È quello che viene definito un antieroe: collaborare con lui è stato inusuale e divertente: abbiamo passeggiato e camminato e credo di essere riuscito ad entrare nello spirito della persona che ha scritto il testo della mia canzone. Anche il messaggio che ha voluto trasmettere mi è stato più chiaro, è un messaggio di vita: il salto che il personaggio della canzone fa dalla torre di Babele non è un suicidio bensì un salto che allontana questa persona da tutto quel mondo che lo ha oppresso fino a quel momento, una liberazione dal soffocamento, uno slancio verso la vita. La canzone si interrompe un pò in maniera cinematografico nel momento più alto di questo salto, dopodiché del cosa succederà dopo di questo salto non si sa; tanti film finiscono così (tecnica denominata Cliffhanger, n.d.a), ossia nel momento culminante quando la suspense non può fare altro che lasciare spazio all’immaginazione perché la scena si blocca improvvisamente, lo schermo si abbuia e la tua mente può solo ipotizzare un seguito, senza nessuna certezza. Sono dei momenti di forte pathos, rimane quel sospeso che è molto efficace ed anche la canzone si conclude con questo salto che ognuno può fare andare dove vuole, l’importante è allontanarsi saltando lontano da quello che ti fa star male, da una vita che non si desidera o che non ci soddisfa; saltare verso qualcosa che fa stare bene, verso una vita migliore; è chiaro, è poesia, ognuno poi lo può interpretare come vuole, ma è anche lì il bello.
Adesso c’è qualcosa di nuovo all’orizzonte? Stai scrivendo un nuovo album?
Ho già diverse canzoni, ma bisogna capire la direzione che deve prendere, quanto tempo ho ancora per perfezionarlo; l’ho scritto un po’ più velocemente del primo, ma non bastano pochi mesi per fare un buon disco, è un lavoro impegnativo ed inoltre dopo il primo, si crea anche una certa aspettativa,
“Hugolini” doveva uscire: dopo la chiusura con i Martinicca Boison c’è stato un momento di rielaborazione ed autoanalisi. Dovevo capire intanto se avevo ancora voglia di scrivere (e su quello non avevo né dubbi né esitazioni), poi era necessario inquadrare in un certo modo la mia musica, perché parte di quel mondo dei Martinicca volevo trattenerlo, ma volevo aggiungere anche qualcosa di nuovo e quel qualcosa di nuovo è rappresentato fondamentalmente dalla componente elettronica che invece era totalmente assente nei Martinicca. Non ci sono più tanti strumenti, ma si è aggiunta una componente elettronica, un po’ di dance e suoni tropicaleggianti che contraddistinguono il nuovo genere; infatti c’è un bel mix di ritmi, è tutto un ballare, ed a questo ci tengo molto perché mi piace la musica dove si può ballonzolare, senza dover star fermi, senza dover necessariamente “pogare“, quella musica che quando l’ascolti non riesci a trattenerti perché ti fa venire voglia di muoverti ed è impossibile non farlo.
È uscito recentemente il video di “Non andiamo d’accordo”, secondo singolo estratto da “Hugolini”.
Sì, è uscito da poco il nuovo video, girato a Brescia, girato da Federico Cangianiello, in cui finalmente non sono il protagonista, ma lo sono due ragazzi che si incrociano continuamente senza mai trovarsi definitivamente ed io spunto ogni tanto qua e là, limitandomi a guardare ed a cantare. Girare un video in cui non ero sempre presente mi ha dato più libertà, ho osservato questi ragazzi molto bravi destreggiarsela molto bene mentre giravano a giro per la città o nella metropolitana della città (sì, c’è una metropolitana supermoderna a Brescia, incredibile!), è stato diverso ed interessante.
Questo è un vecchio pezzo dell’ultimo disco dei Martinicca Boison, che ho voluto riprendere perché vi ero molto legato e mi incuriosiva dargli una nuova veste, e riarrangiarlo completamente. In originale ha un arrangiamento tropicaleggiante mentre nella nuova versione ha un andamento molto più elettronico. Pensavo al “drum and bass” all’inizio però poi ha preso una veste pop elettronica, molto “danzereccia” che mi ha sorpreso e soddisfatto e, come nella versione originale, ha cantato di nuovo con me Lucia Sargenti.
Vedi che c’era qualcosa di autobiografico che voleva venire fuori?!
Precisamente! Quella è una delle più autobiografiche, infatti l’ho scritta in un momento in cui non si andava d’accordo; realtà e fantasia si fondono, di reale c’è l’input iniziale e la voglia di scrivere per fermare un momento, anche per esorcizzarlo, è un pezzo particolarmente riuscito perché nasce proprio da un’esigenza personale e quando questa cosa accade hai un’arma in più, non ti devi inventare nulla, ma devi solamente raccontare quello che ti è successo, magari aggiungendoci della fantasia. A quel punto non è più importante che un fatto sia accaduto o meno, fondamentale è proprio la scintilla iniziale e quella è assolutamente veritiera.
E Hugolini è così: è una scintilla di vita, un ragazzo genuino dagli occhi limpidi e decisi che insegue da sempre un sogno e si sta rendendo conto che lo sta realizzando, rimanendo entusiasta e semplice come un ragazzino alle prese con i primi esperimenti strumentali, con la curiosità delle prime scoperte. Possiamo guardare il mondo attraverso il suo sguardo di spettatore sognante; le sue canzoni sono come fotografie reali e immaginative: ci mostra un mondo colorato e luccicante, ma la sua mente rimane attenta ed impegnata. È un lucido osservatore e trasporta l’ascoltatore come un illusionista, come il grande Houdini (al quale tra l’altro si è ispirato per il suo nome d’arte) in un’atmosfera al confine tra l’immaginario e la realtà: ce la descrive con un linguaggio semplice e trasparente, regalandoci un album giovane, spensierato e vitale.
Intervistarlo è stato come fare una chiacchierata con un vecchio compagno di scuola, magari pattinando in mezzo ad un parco o facendo un picnic in giardino, fra una carezza e l’altra ad un paio di gatte.
È possibile ascoltare il suo cd su Spotify o TimMusic, guardare i video su YouTube o scaricarlo da iTunes.