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Cello Virtuosi Accademia Sibelius

Il concerto si è svolto il 6 aprile 2018 al Teatro Rossini di Pesaro

58a stagione concertistica promossa da Ente Concerti e Comune di Pesaro.

Concerto assolutamente particolare sia per la formazione strumentale (solo celli), sia per la scelta musicale (dal 1700 alla fine del 1900).

Solo violoncelli in palcoscenico: due per Boccherini, quattro per Wagner, cinque per Čajkovskij, otto per Villa-Lobos, Gershwin, Bernstein, Gubajdulina e Piazzolla, diretti dal violoncellista capo Martti Rousi, con la partecipazione del soprano virtuoso Piia Komsi per le pagine cantate.

Gli artisti provengono dai paesi freddi del nord, principalmente dalla Finlandia, ma mettono calore nell’interpretazione, sostenuta da un’eccellente tecnica esecutiva.

Le dita degli strumentisti frullano e saltellano fluidamente sulle corde per eseguire il fitto virtuosismo di alcuni brani, gli archi si distendono nelle pagine più pacate.

Nella Sonata in La maggiore del compositore e violoncellista settecentesco Luigi Boccherini, Martti Rousi accompagna con larghe arcate e suono scuro l’insistente virtuosismo di Jonathan Roozeman, che suona a memoria con sensibilità d’arpeggio in un’estasi quasi religiosa.

Nell’Interlude de Lohengrin di Richard Wagner i quattro celli guidati da Rousi riescono a realizzare quella sensazione di musica infinita propria di Wagner, arcate lente e vibranti sfociano in un’atmosfera di rabbia e, passando attraverso note che ci rammentano l’incipit della sua marcia nuziale, sfumano in un finale sospeso.

L’ensemble al completo interpreta visceralmente le pagine del compositore brasiliano Heitor Villa – Lobos (1887 – 1959), Bachiana brasileiras 1, una musica popolare brasiliana e classica nello stile di Bach con alternanza di ritmi incalzanti e melodie languide e distese di un romanticismo lacerante e struggente con silenzi e voci sommesse.

Bachiana brasileiras 5 è un brano di difficile esecuzione, perché passa da una melodia struggente cantata su una sola nota a un canto lirico classico e poi ad una musica senza una linea melodica e con dissonanze. Bravi tutti gli interpreti, in particolare il soprano Piia Komsi, che, esperta di tecnica virtuosistica, piega una voce duttile ed estesa ai capricci del compositore, introducendo una novità, un delicatissimo canto interno a bocca chiusa con filatini a volte impercettibili e strabilianti acuti.

Non mi è invece piaciuto come ha cantato Summertime di George Gershwin (1898 – 1937), che richiede più corpo vocale e maggior fluidità d’emissione.

In Fata Morgana di Gubajdulina (1931) e in I feel pretty da West Side Story di Bernstein (1918-1990) la cantante ha evidenziato una voce da commedia musicale.

Come bis il soprano ha cantato Oh mio babbino caro da Gianni Schicchi di Puccini (1918), che ha messo in luce le peculiarità di questa voce aggraziata e ben modulata con messe di voce e dissolvenze, ma ha anche evidenziato che la frequentazione della musica moderna e contemporanea non giova all’emissione vocale nei brani operistici. Forse sarebbe meglio il Rossini fiorito.

Per l’Andante cantabile di Čajkovskij (1840-1893) i cinque celli, diretti da Martti Rousi che suona senza spartito, entrano con facilità nella melodia dolce e patetica intrisa di suoni cupi.

La pagina di Piazzolla Milonga y tango li ha divertiti molto.

C’era anche Which and Sun my father di Aija Puurtinen (1959), ma, visto il cambiamento dell’ordine nel programma, mi sono un po’ persa in questi brani in parte a me sconosciuti.

Per un programma così originale e poco noto non è stata sufficiente l’introduzione della presidente dell’ente concerti Marta Mancini, occorreva una presentazione più capillare pezzo per pezzo, perché lo spettacolo deve anche insegnare oltre che divertire.

Il pubblico è rimasto soddisfatto, la bravura degli interpreti ha vinto.

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