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“Ad un passo” di Molino Rosenkranz

Andato in scena al Forte di Sedegliano (UD), l’11 giugno 2018, all’interno del “Festival di teatro sui luoghi della Grande guerra”

Autori, attori, registi: Massimiliano Donato, Fabiano Fantini, Roberto Pagura, Marta Riservato

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La prima guerra mondiale è stata un evento spartiacque nella storia dell’umanità non solo per i mutamenti radicali intervenuti nelle modalità di svolgimento dei conflitti armati (l’uso di tecnologie belliche avanzate, la mobilitazione di massa, il coinvolgimento delle popolazioni civili ecc.) ma anche per le conseguenze nefaste nel futuro con l’ipoteca posta sulla possibilità di distruzione dell’intero genere umano. Il parallelo istituito, nello spettacolo Ad un passo, tra un episodio della grande guerra sul fronte di Caporetto in occasione della battaglia sui monti Pleiza e Matajur (24-26 ottobre 1917) e un bombardamento americano effettuato nel paese di Herat in Afghanistan nel 2015, sottolinea l’aspetto di continuità tra i due tragici eventi mettendone in luce le analogie ed esplicitando maggiormente la denuncia della logica aberrante della guerra e dei suoi ingenti costi umani. In entrambi i casi i protagonisti del conflitto vengono divisi in due categorie: i leader militari, politici e religiosi da un lato, rappresentativi dell’ideologia sottesa allo scontro tra popoli e civiltà; i partecipanti ai combattimenti dall’altro, in veste di soldati volontari o arruolati e di civili coinvolti loro malgrado nelle operazioni belliche. Il Generale Capello, campione di un militarismo pragmatico e inumano non risulta quindi meno intransigente e guerrafondaio dell’imam che propugna la versione fondamentalista della teologia islamica della liberazione, o del presidente occidentale che trasforma la caccia ai terroristi in guerra tecnologica contro le popolazioni. Analogamente, ciò che accomuna i combattenti sui diversi fronti sono i risvolti familiari del loro coinvolgimento; lo scompaginamento interiore per l’essere stati testimoni e protagonisti di un’esperienza di dolore, frustrazione, follia e violenza reciproca; l’anti-eroismo e l’uguaglianza di fronte alla devastante esperienza del campo di battaglia. Ecco allora che Maria Von Hauler, trasformatasi da crocerossina in soldato per vendicare la morte del padre (ufficiale dell’esercito austro-ungarico caduto nel marzo 1917 sul fronte italiano), dall’altra parte del campo di battaglia trova un corrispettivo nel portaordini Beppe Manetti la cui costante preoccupazione è la famiglia contadina a cui è stato strappato. Salvatore Rizzo, ufficiale del Genio è testimone dell’atrocità e assurdità della guerra di trincea mentre il pilota di droni appare alienato nella sua assuefazione alla guerra tecnologica e alla sua pretesa giustificazione politico-culturale. Unica rappresentate delle vittime civili dei conflitti e l’afgana Soraya che perisce durante il suo matrimonio a causa di un bombardamento “mirato” ad un terrorista di spicco presente alla cerimonia.

Gli attori del Molino Rosenkranz hanno utilizzato al meglio lo spazio del Forte di Sedegliano (collocato nelle vicinanze del paese in aperta campagna), alternando i monologhi e qualche scena a due, tra gli interni dell’edificio blindato e gli esterni delle piazzole rialzate e dell’area verde antistante l’impianto militare. Nella riservetta corazzata sono stati rievocati i momenti più duri della battaglia di Caporetto e la compresenza degli attori e del pubblico in uno spazio ristretto ha reso palpabile il senso di soffocamento e di tensione vissuto dai soldati “ad un passo” dal destino di morte; inseriti nell’ambiente naturale, tra le ultime luci del tramonto e il buio serale, i monologhi dei vari protagonisti hanno assunto un respiro universale e al tempo stesso una vibrazione più intima, in virtù del loro carattere spesso riflessivo e introspettivo.

Massimiliano Donato, attraverso un’incisiva caratterizzazione regionalistica, ha restituito il senso di progressiva disillusione e sdegno del giovane arruolato siculo Salvatore Rizzo, e ha reso efficacemente la baldanza e l’inconsapevole malessere del pilota del Nevada, artefice a distanza di immani massacri. Fabiano Fantini ha composto dei ritratti di uomini di potere all’insegna della solennità e implacabilità: dal Generale Capello, colto nei giorni della forzata degenza in ospedale in concomitanza con la sconfitta di Caporetto, sofferente ma proprio perciò tenacemente votato al comando e alla supremazia militare; al presidente americano che, con disinvolto cinismo, sciorina proclami di guerra ammantati di pseudo-umanitarismo. Roberto Pagura ha dato al personaggio del contadino veneto Beppe Manetti i tratti della spontaneità e autenticità popolare sapendone al tempo stesso cogliere la riposta umanità nello struggimento per i suoi cari e l’insospettata saggezza dell’accorato richiamo al senso di sconfitta collettiva della guerra; ha dato poi alle enunciazioni integraliste dell’imam accenti di lucidità e determinazione. Marta Riservato ha rappresentato con grande pathos il destino di Maria Von Hauler, segnato irreversibilmente dalle vicende familiari e dalla traumatica trasmutazione di una vocazione altruista in una ferrea volontà di vendetta sanguinosa; mentre ha dato al personaggio di Soraya la solare leggerezza di una giovane innamorata, consapevole della mentalità patriarcale e maschilista dell’ambiente di provenienza, ma decisa a salvaguardare il proprio diritto alla libertà.

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