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La tragedia del vendicatore

In scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano fino al 16 novembre 2018

La tragedia del vendicatore
Foto di Masiar Pasquali

Ai primi del XVII secolo in Inghilterra è in voga la ‘Commedia del terrore’, un thriller dai risvolti grotteschi sconfinante nell’horror e nello splatter (dall’inglese to splat che si riferisce allo schizzare del sangue che con notevole realismo, a volte esagerato, trionfa nel cinema splatter, sottogenere dell’horror), proprio della letteratura popolare, genere che ha influenzato scrittori come Shakespeare e Middleton che ne adottano alcune tematiche.

Tra queste fondamentale quella della vendetta, ‘sentimento’ imperituro in ogni epoca, anche se sposando la sentenza “ogni punizione è un misfatto” del filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham (1748-1832) lo sforzo del vendicarsi spesso distrugge colui che si adopera al riguardo.

È questa la radice de La tragedia del vendicatore, opera di Thomas Middleton scelta dal regista russo Declan Donnellan – uno dei più grandi a livello europeo (Leone d’d’Oro alla carriera) – per realizzare su invito del Piccolo Teatro, con cui ha rapporti sodali e di lavoro da più lustri, il suo primo lavoro all’estero: protagonisti un gruppo di validi e convincenti attori italiani molto giovani con i quali non conoscendo la nostra lingua si è rapportato tramite un interprete. Una scelta impegnativa, in linea con il suo stile e audace, ma non irrazionale visto che la tematica è sempre attuale tanto da dare l’idea di una contemporaneità del testo dettata dall’immutabilità della natura umana cui non sono servite né forse serviranno mai le lezioni della storia.

Per comprendere meglio la pièce – attribuita per secoli fino agli inizi degli anni 2000 al drammaturgo inglese Cyril Tourneur (1575 ca.-1626) e quindi anche nella versione di Luca Ronconi che nel 1970 utilizza protagoniste donne tra cui Mariangela Melato – di Thomas Middleton (1580-1627) è importante analizzare la sua figura: contemporaneo, pur se più giovane, di Shakespeare con cui ha lavorato, seguendo la moda di collaborazione dell’epoca, opera come spirito libero e non su committenza rischiando maggiormente e venendo censurato per la sue bordate contro corruzione, malcostume, superficialità, violenza del potere e dei potenti qui esemplificati dal duca e figli.

Splendido l’escamotage di attribuire ai personaggi attaglianti e agghiaccianti nomen omen quali Vindice, reso furioso dalla morte prematura e violenta inflitta alla promessa sposa Gloriana e come tale perno di una Vendetta inarrestabile contro il Duca e i vari Lussurioso, Supervacuo… per stigmatizzarne eccessi, odi, sopraffazioni, corruzioni… una politica e un mondo corrotti e corruttibili, avidi e ambiziosi di apparire agli altri e non di essere, naturalmente con le dovute e rare eccezioni: degenerazione, inquietudine e insicurezza conseguenti ai mutamenti politico-sociali e religiosi di un’epoca di transizione (da Elisabetta I a Giacomo I Stuart fino a Carlo I…) destinata a ripetersi ciclicamente nei secoli con diversità formali e uguaglianze sostanziali.

Un’irrisione, ben costruita anche come scenografie e musiche, che finisce, però, per lasciare senza emozioni: troppo grottesco, troppo humour o troppa abitudine a disgrazie e drammi propinati giornalmente in mille forme dai mass media?

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