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Teatro dell’Opera di Roma, il “Rigoletto” moderno di Gatti e Abbado

L’opera che apre la nuova stagione romana ambientata durante la Salò fascista, in scena fino al 18 dicembre a Roma

Rigoletto
Foto di Yasuko Kageyama

È un Rigoletto come non lo si era mai sentito quello che ha inaugurato con successo la stagione 2018/2019 del Teatro dell’Opera di Roma: in scena fino al 18 dicembre, l’opera di Verdi diretta dal maestro Daniele Gatti, neo direttore musicale del teatro capitolino, con la regia di Daniele Abbado, offre un versione musicale e interpretativa mai scontata.

La seicentesca corte di Mantova dei Gonzaga viene trasportata nella Repubblica di Salò, uno dei momenti più oscuri e confusi della storia italiana, collocata negli Anni Quaranta immediatamente evocati dai costumi (precisi e colorati di Francesca Livia Sartori ed Elisabetta Antico), dalle camicie nere dei cortigiani.

Rigoletto, un possente Roberto Frontali, indossando la giacca di paillettes nell’Ouverture, si trasforma subito nel buffone-attore da avanspettacolo qual è: privato della gobba, ma claudicante in mezzo ai cortigiani, si aggira nella folla, mostrando la sua deformità interiore, raggiunge Gilda in una casa a due piani collocata sul fondo del palco, è complice involontario del rapimento prima e della morte della figlia nel terzo atto, nella locanda di Sparafucile dove ogni finzione, anche scenica, è destinata a crollare.

In un Rigoletto che non lascia alcun tipo di speranza e dove la connotazione della maledizione diventa soprattutto sociale, ciascuno è costretto a fare i conti con il proprio tragico destino. Regia sobria, ma a tratti non troppo incisiva di Abbado che ha scelto di esaltare lo “straniamento quasi brechtiano” già insito nell’opera con tanto di trasfigurazione simbolica nella morte di Gilda: particolarmente intelligente l’uso drammaturgico delle belle scene di Gianni Carluccio con la chiusura delle strutture architettoniche che stritolano idealmente e praticamente Gilda al momento che preclude il rapimento alla fine del primo atto.

Tutto è sempre molto elegante e senza eccessi anche nel bellissimo quartetto Bella figlia dell’amore che mostra il lacerante dramma in scena offrendo la dicotomia fra il tono di commedia del Duca e Maddalena e lo strazio drammatico di Rigoletto e Gilda. Oltre alla bella interpretazione di Roberto Frontali, molto valida la Gilda di Lisette Oropesa, adatta anche fisicamente al ruolo, a tratti un po’ debole la presenza scenica e vocale di Ismael Jordi Duca di Mantova che sembra quasi soccombere al destino piuttosto che essere il deus ex machina involontario della vicenda.

Se l’Orchestra del Teatro dell’Opera risponde bene, benissimo, alle richieste del Maestro Gatti, musicalmente si tratta di un’opera del tutto sfrondata dalla tradizione: a distanza di 14 anni dal tuo ultimo Rigoletto di Bologna, Gatti aveva dichiarato di voler partire dalla scrittura musicale cercando di eliminare il superfluo che nel corso degli anni (e della tradizione) si sono accumulati.

Via gli acuti, via gli orpelli di rito per dare spazio solo ed esclusivamente alla musica: il risultato è un Rigoletto asciutto e molto essenziale anche nelle arie che generalmente travolgono il pubblico. Obiettivo del neo direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma è di voler “rispettare i tempi tentando una proposta di interpretazione che si avvicina a un’opera moderna”.

Ma d’altra parte anche un’inaugurazione apparentemente più tradizionale come Rigoletto, dopo Wagner e Berlioz diventa in certo modo alternativa e non scontata, inserendosi nel discorso di educazione musicale del pubblico portato avanti da qualche anno a questa parte. Ultima replica martedì 18 (ore 20). Info su operaroma.it.

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