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Bianca come i finocchi in insalata

Andato in scena al Mattatoio di Roma nell'ambito del Roma Fringe Festival 2019

Bianca come i finocchi in insalata«Capire il completo significato della vita è compito dell’attore; interpretarla il suo problema; ed esprimerla la sua missione. Essere un attore è la cosa più solitaria del mondo. Sei completamente da solo con la tua concentrazione e con la tua immaginazione, e quello è tutto ciò che hai. Essere un buon attore non è facile. Essere un uomo è ancora più difficile. Voglio essere entrambi prima di morire»  James Dean

Il lavoro dell’attore è un lavoro fatto di profondità, consapevolezze, arrendevolezza, vulnerabilità, resa della ferita dinnanzi alla grandezza della vita. Il lavoro del regista è un lavoro di focalizzazione e ricostruzione in cui parti dell’immaginario collettivo emergono acquisendo rilevanza e maggiore nitidezza in un quadro organico scelto consapevolmente, criticamente. La regia è una scorcio sul mondo che si apre allo sguardo dell’autore, e i diversi elementi descritti per essere credibili devono rispettare delle costanti, delle modalità narrative, dei codici, anche e soprattutto nel momento del loro sovvertimento. Un esempio di scelta registica è quella di rendere fantasmatica la presenza degli oggetti di scena, e da questa l’incongruenza delle scelte sceniche (dal soggetto alla regia) si presenta fin da subito, fin dagli elementi più minimi: in scena abbiamo i biscotti, le caramelle, ma l’acqua della teiera diviene immaginaria; abbiamo dinnanzi a noi una donna (interpretata da un uomo) in cui nulla fa pensare che ci possa essere – nella storia – una tematica di genere, nonostante ciò l’uso delle parole con cui Bianca urla agli alunni: “checca”, “frocio”; il disegnare membri maschili alla lavagna non dà una direzione in quel senso, ma anzi appare estemporaneamente no sense proprio perché non vi è un terreno fertile su cui questa stessa tematica – di cui avremo conferma solo all’ultima battuta – può nascere e svilupparsi.

Non è possibile portare sulla scena, non è buono portare sulla scena un soggetto che sì, può avere degli interessanti spunti di riflessione, ma che no, non è assolutamente pronto ad interfacciarsi con uno spettatore mediamente consapevole di quelle che sono le tematiche di genere, la profondità dello spettro emozionale umano e la responsabilità che il teatro ha nei confronti della società circostante; l’arte non è – e non deve essere – un piatto d’insalata buttato in pasto ai cani; l’arte è una ciliegia sulla torta – anche nel caso in cui fosse fatta di merda (riferimento a Piero Manzoni), che trasforma tutto quello che son state le portate precedenti; l’arte lascia nella bocca un sapore che perdura a lungo, e cambia con l’esperienza stessa di chi ne prende parte, anche solo per un’ora o per qualche sguardo.

Ora, non mi aspettavo un Mercante di Venezia recitato da un Al Pacino, ma neanche una superficie frammentata dove non vi è memoria della rabbia che viene urlata in scena senza che ve ne sia la reale consapevolezza. Il teatro è ricco di esempi virtuosi di attori portati allo stremo delle loro forze, fino ed oltre il loro punto di rottura, ma per andare oltre, per essere in quel punto di rottura, quel punto di rottura lo si deve aver vissuto realmente, da qualche parte dell’anima, perché altrimenti quello che viene portato sulla scena è solo un fantoccio di carne che urla mentalmente battute prive dello spessore necessario alla caduta, e all’esaurimento di quella donna di cui Bianca come i finocchi in insalata ci vuol parlare. La frustrazione, la rabbia, il sadismo, e certi tratti del disturbo antisociale di personalità possono essere trattati in maniera trasversale, ma nessuno di questi è un qualcosa di semplice da digerire e da esprimere, e questo chi li vuole mettere in scena lo potrebbe intuire se non comprendere.

Vi è nel provare a portare molto, il rischio di non aver portato nulla, se non in un affastellamento confuso in cui confluiscono emozioni estreme, socialità disturbate e disturbanti, tematiche di genere, pezzi di vita buttati alla rinfusa in uno spettacolo frammentato che avrà bisogno di tempo e d’esperienza per evolvere in un qualcosa che abbia senso portare in scena.

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Credits

Scritto e diretto da Silvia Marchetti

Con Andrea Ramosi

Produzione Compagnia Del Calzino

Organizzazione e Comunicazione Theatron 2.0

Grafica Daniele Ferraioli

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