Un incontro in bianco e nero tra due persone prive di sfumature. Una donna che non dimentica e un uomo che ha dimenticato.
Dal suo romanzo “Autobiografia erotica di Aristide Gambia”, Domenico Starnone ha estrapolato il primo episodio degli incontri erotici del suo protagonista, stigmatizzandone gli impulsi sessuali contrapposti alla visione della partner Mariella Ruiz.
Aristide e Mariella si contrappongono in una scarna stanza all’estremità di un tavolo, come dovessero sostenere un interrogatorio.
La donna, infatti, incalza con la puntigliosa descrizione dell’incontro fortuito e frettoloso avvenuto venti anni prima, scardinando i recessi della memoria dell’uomo per farne emergere dettagliati particolari, utili alla sua autostima di donna che non accetta di essere stata una futile occasione. Ha, così, scritto una mail provocatoriamente oscena per convocarlo in un anonimo appartamento di Roma con l’intento di rievocare quel rapporto sessuale consumato a Ferrara da perfetti sconosciuti, per sviscerarne le pulsioni e il ricordo.
D’altronde, se è stato solo un incontro sessuale, bisogna ricorrere all’oscenità e non al linguaggio dolce dell’amore, sostiene.
Insinuante e spietata, Mariella scava, esplora, porta alla luce responsabilità e sensi di colpa, descrivendo anatomia, fisiologia e stati d’animo. Una disamina che penetra i corpi e l’anima e percorre la vita: lei giovanissima segretaria di una casa editrice, lui giovane autore con una moglie prossima a partorire. Succede ciò che non era previsto e non sarà più come prima. Almeno per Mariella, che adesso costringe Aristide a rielaborare ciò che è avvenuto, rivelandolo a lei e a se stesso.
Impossibilitato a sottrarsi a questa sorta di esame autoptico, a volte interrotto da strani rumori provenienti dall’altra camera, l’uomo rievoca il torpore di quel pomeriggio al cinema con lei, il saluto sbrigativo, il ritorno in redazione per riprendere la borsa dimenticata, l’irrefrenabile impeto sessuale soddisfatto in modo sfrontato e veloce. Poi, tutto cancellato. Adesso, invece, è tutto vivido e tagliente come una lama affilata che affonda nelle carni da cui fiotta sangue, e la vita gli scorre davanti in pochi istanti col sapore acre dei tanti fallimenti.
L’oscenità del linguaggio, funzionale al racconto, esaspera l’oscenità dell’anima, priva di sensibilità e attenzione per una giovane ignara del sesso. Caparbiamente, lei oggi protegge il dolore della sua età dell’innocenza e rivendica il diritto di scarnificare l’anima del carnefice.
La dualità maschile e femminile emerge in tutta la sua virulenta diversità. Uno stesso fatto, due sensazioni, due elaborazioni, due livelli di memoria, due verità.
Un racconto pregnante di formazione sessuale.
Ci sarà un punto di coesione? Il finale pone nuovi interrogativi.
Il talento di Domenico Starnone va oltre la cifra stilistica dello scrittore, rivelando una analitica capacità di ‘leggere’ la psiche femminile di fronte all’esperienza sessuale.
La regia di Andrea De Rosa lascia spazio agli attori: “Credo che l’esperienza più importante che si possa fare ancora oggi a teatro è quella di mettere in discussione la propria identità. Attraverso un linguaggio crudo ed esplicito, la memoria di quella giornata diventa il pretesto per andare a fondo nel pozzo nero della rimozione, dove spesso accantoniamo ciò che crediamo senza alcuna importanza e che è invece lì, in agguato, pronto a rimescolare profondamente il senso della nostra vita”. Pier Giorgio Bellocchio, impacciato e disorientato all’inizio, esplode nella lacerante e liberatoria consapevolezza finale, Vanessa Scalera è dolente eppure impudica nel suo percorso di redenzione emotiva.