Libro dell’anno per Time, Boston Globe, National public radio, New York Times. E potremmo continuare con quotidiani, tv e media di tutto il mondo. “Noi siamo qui. Dritte per vivere sul pianeta terra” è un albo illustrato semplicemente meraviglioso. Un libro d’infinita delicatezza, poetico e pieno d’amore, intimo e umoristico nello stesso tempo. A scriverlo e illustrarlo è il nord-irlandese (ma da anni a New York) Oliver Jeffers, tra gli autori più famosi, venduti e tradotti nel mondo. Lo ha creato durante i primi due mesi di vita del suo primo figlio, Harland, con l’obiettivo di spiegargli cosa sono la Terra e il sistema solare, gli esseri umani e gli animali, il giorno e la notte, la campagna e la città: “le cose – scrive nella dedica – che penso tu debba sapere”. Una lettera a colori sull’incredibile bellezza della diversità, sulla varietà di forme e dimensioni di tutto ciò che ci circonda, indirizzata ai piccoli di tutte le latitudini. Un libro che è un’opera d’arte, e che come ogni “classico per l’infanzia” (così lo definì il Guardian, e ormai tutti lo considerano così) davvero non può mancare nella biblioteca di ogni bambino.
A pubblicare “Noi siamo qui” è la ZOOlibri di Reggio Emilia. Una casa editrice indipendente nata nel 2001, con la sede in una piccola dimora rurale nel cuore della pianura padana, particolarmente attenta ai temi della solidarietà, della pace, del rispetto dei diritti umani. Il catalogo della ZOOlibri presenta un’ottantina di titoli, dimostrando una notevole curiosità e attività di ricerca sul piano sia nazionale sia internazionale, visto il grande numero di artisti innovativi che presenta e l’alta quantità di traduzioni in lingue straniere. “La storia è l’origine di tutto, sempre e solo da essa si parte per fare un albo illustrato. Le immagini devono sempre rispettare la storia e poi sempre aggiungere qualcosa”, spiega l’editore Corrado Rabitti: “Ogni libro che facciamo, anche quello più drammatico, deve meritarsi il lettore e strappargli un sorriso di soddisfazione”. Ed è quanto succede, ad esempio, chiudendo l’ultima pagina di “Noi siamo qui”, dove al sorriso di soddisfazione si aggiunge anche un piccolo, personale moto di commozione.
“Beh, ciao. Benvenuto su questo pianeta. Noi lo chiamiamo Terra. È davvero bello che tu ci abbia trovati, visto quanto è grande lo spazio. C’è tanto da vedere e da fare sulla Terra, quindi partiamo in esplorazione”. Il picture book di Jeffers inizia così, ed è un viaggio senza personaggi principali e senza una vera e propria narrazione: un viaggio che attraversa mari e cieli e corpi umani, celebrando il mistero della nostra vita sul pianeta. Pur avendo un orizzonte così grande “Noi siamo qui” è asciutto e privo di retorica, un volumetto di una semplicità assoluta, perché l’autore sa cogliere di ogni cosa ciò che è veramente essenziale. Anche i disegni sono bellissimi: i colori sono intensi, le tavole di immediata comprensione, centrate su pochi elementi ma non prive di dettagli divertenti e note ironiche, che danno pieno significato ai testi (perlopiù molto brevi).
“Le tre cose principali del libro riguardano la genitorialità, la responsabilità condivisa dell’umanità e il posto della Terra nello spazio”, ha spiegato Jeffers in un’intervista. Il libro è una bussola per orientare i nostri figli nei loro primi passi: le persone “hanno bisogno di tre cose fondamentali: mangiare, bere e stare al caldo”, mentre la Terra “sembra grande, ma siamo tantissimi qui sopra (7.327.450.667 e continua), quindi sii gentile, c’è spazio per tutti”. Jeffers ci dice che dobbiamo aiutarci e condividere, che dobbiamo “lasciare delle tracce per gli altri”, prenderci cura di noi e del pianeta, che “possiamo apparire diversamente, comportarci diversamente e parlare diversamente, ma siamo tutti persone”. E ci dice, rivolgendosi direttamente al figlio, che se vogliamo sapere altro basta solo chiedere, perché qualcuno cui chiedere c’è sempre, perché “sulla Terra non sarai mai solo”.
Da un “classico” contemporaneo passiamo a un classico propriamente detto: “Il brutto anatroccolo”, fiaba del danese Hans Christian Andersen, pubblicata per la prima volta nel 1843. La storia è notissima: un’anatra dà alla luce una nidiata, e tra i piccoli se ne distingue uno per la sua bruttezza, perché tutto grigio e troppo grande e goffo. Viene “beccato, spintonato e schernito” da tutti gli altri animali, fino al punto che è costretto a scappare. Da lì tante peripezie, nuovi rifiuti e continue fughe. Ma un giorno, avvicinandosi a uno stormo di cigni, si accorge con sorpresa di essere accettato, e guardando nell’acqua la propria immagine riflessa scopre di essere anche lui un bellissimo cigno.
“Non conta essere nati in un pollaio di anatre quando si è usciti da un uovo di cigno”, si legge nella versione della ZOOlibri. Si diventa grandi solo amandosi per ciò che si è, solo credendo in se stessi, solo divenendo fieri della propria diversità. E questa lettura della favola sottolinea, senza divenire in alcun modo didascalica, l’importanza delle relazioni, il non darsi per vinti, la personale resistenza alle pressioni negative esterne, il riuscire a trovare la propria strada. Ma c’è anche un altro elemento di grande interesse nella versione della ZOOlibri: a disegnare “Il brutto anatroccolo” è la giovane padovana Veronica Ruffato, al suo esordio nel mondo degli albi illustrati. Un debutto sicuramente riuscito: il suo lavoro è delicato ed emotivo, il tratto è pulito e preciso, le tavole sono ricche di dettagli, espressioni, trovate, un largo panorama di idee rivelato con innegabile talento.