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La comunicazione ai tempi del Coronavirus

La scomparsa dell'Amuchina e la solitudine delle penne lisce

Sono ormai lontani i tempi in cui i programmi tv e le nostre condivisioni social si focalizzavano sulle modalità con cui passare un magico San Valentino o boicottare la festa degli innamorati con ingiurie e livore.
Sono ormai lontani i tempi del dramma nato dall’annuncio dello scioglimento di Benji e Fede.
Sono ormai lontani quei cari e vecchi tempi in cui attendevamo con ansia le ospitate tv di Morgan e le sue
brutte figure e la maleducazione.
Ormai, da circa una settimana, c’è un solo e
unico argomento che ha conquistato l’egemonia dei nostri pensieri, delle nostre vite e delle nostre conversazioni: il Covid-19, per gli amici sua maestà Coronavirus.

È arrivato dalla Cina con furore portando panico, insicurezza e, soprattutto, facendo fuori ogni minimo barlume di buon senso.
I media, ingordi di panico e sensazionalismo, sono passati, in pochi giorni, da un resoconto orario degli infettati e dalla conseguente certezza della fine del mondo ad un tono più blando e quasi di scherno come a dire “ma davvero ci avevate creduto?”.
In sette giorni abbiamo assistito ad annunci, smentite, controsmentite, attacchi, litigi e riappacificazioni, siamo passati dal “moriremo tutti ” a “è solo un’influenza”, dagli sguardi di diffidenza indirizzati verso qualsiasi orientale al terrore di sfiorare un essere umano dall’accento lombardo.
Codogno è uscita velocemente dall’anonimato per diventare la cittadina più famosa, e pericolosa, dell’Italia e forse dell’Europa intera.

Non credo che l’effetto Coronavirus si sgonfierà velocemente e, per un bel po’, oltre a rispettare le disposizioni sanitarie, ci dovremo confrontare con deliri, ossessioni e schizofrenie varie del nostro mondo, quello reale e quello digitale.
In questi pochi giorni ci sono già stati alcuni “aspetti sociologici” di grande importanza che mi sembrava giusto annotare.

1) Amuchina is the new Nutella biscuits.
Dopo la dipendenza dai biscotti fashion della Nutella, l’emergenza Coronavirus ha cambiato i trend di acquisto e il nuovo must have è diventata l’Amuchina, ormai introvabile o più cara di una qualsiasi bottiglia d’acqua marchiata Chiara Ferragni.

2) L’amore mai sbocciato tra gli italiani e le penne lisce.
Foto postate da ogni supermercato d’Italia ci hanno mostrato ingiustificabili razzie alimentari. Un popolo di panettieri che ha fatto incetta di farina e che ha riempito i propri carrelli di latte, pizza e pasta. Tanta pasta.
Spaghetti, tagliatelle, fusilli e penne. Ma rigate perché i pacchi di penne lisce sono rimasti sugli scaffali. Tristi, soli e abbandonati.

3) Ma dove vai se la mascherina non ce l’hai?
Dopo i primi giorni è stato spiegato, una, dieci, innumerevoli volte, che la mascherina, per chi non è contagiato, non serve a niente perché non crea una “barriera” contro il virus.
Serve a chi è malato per non spargere bacilli ovunque.
Questo concetto però sembra molto spesso passare inascoltato e, ormai, la mascherina è diventata un accessorio alla moda. Ci sono dei tutorial per realizzarle, qualcuno ne ha di originali e quelle griffate stanno andando a ruba.

4) Beviamo per dimenticare, ma attenti alla birra Corona!
Forse, molti, per dimenticare questo caos mondiale, si rifugeranno in qualche bicchiere di buon vino o in una birretta. A quanto pare, però, c’è qualcuno che associa questo virus alla birra Corona e per qualche misterioso e incredibile motivo se ne tiene a dovuta distanza.

Risultato: in una settimana Anheuser-Busch InBev, proprietario del marchio della birra messicana, ha perso 258 milioni di ricavi.

5) L’utilità sociale di Barbara D’Urso
In questa settimana Barbarella ha affrontato la crisi e la luce abbagliante della diretta senza il supporto del suo amato pubblico, ha litigato con il serafico Sgarbi e, soprattutto, ci ha tramandato la preziosa arte del lavaggio di mani.
Ormai quando mi insapono i palmi e mi strofino in mezzo alle dita mi compare la sagoma aurea di Barbara che mi osserva e mi ammonisce ad ogni movimento errato.

Quindi, ecco, ho imparato un sacco di cose in questa lunga settimana di passione, mi sono fatta molte domande, ho provato a dare qualche timida risposta e, dopo aver letto giustificazioni sul bagarinaggio di disinfettanti, titoli di giornale che invocavano la peste e strane teorie sul contagio, sono arrivata alla conclusione che, forse, il virus non è nemmeno il più grande dei nostri problemi.

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