Questa poesia di Emanuele Martinuzzi vuole essere una trasposizione letteraria di un esempio di “Natura morta” dell’antichità, denominato “Asarotos Oikos” ovvero “Stanza non spazzata” ed è tratta da un’intuizione di un artista greco. Stile che influenzerà e si svilupperà anche tra gli aristocratici dell’epoca Romana. Un famoso esempio di questo tipo è quello in cui viene delineato uno spezzone di pavimento a mosaico, che rappresenta resti di cibo caduti sul pavimento. Detto mosaico, del II° secolo A.C., è stato trovato nel “Triclinium” o sala da pranzo della Domus in Loc. “Vigna Lupi” nelle vicinanze di Roma ed è ora conservato nei Musei Vaticani. In questo caso il gusto decorativo si sposa alla volontà di manifestare l’opulenza del ricco signore attraverso i resti che i suoi invitati gettano, o meglio hanno gettato simbolicamente sul pavimento, per essere cibaria degli animali o dei servi. Da questo incipit storico la poesia vuole invece rendere tributo a quei resti, ai rifiuti, agli scarti, che hanno poi saputo diventare arte, bellezza, immortalati nell’eternità della creazione artistica, invece che deperire nel tempo.
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Scorze, lische e gusci
Eppure, anche così accasciati
nelle grinze di fiabe marmoree,
gemme sbucciate dai giorni, acide
commozioni spellate per rivestire
la carnagione del mondo con antiche oralità,
voi limoni, scritti dove il baratro
oltrepassa l’occhio,
ancora vibrate come note
sospiranti destini ocra,
nel solfeggio, che va e viene
sugli arti con foglie di ossa e
sul torace intagliato che respira
ramaglie, petali odor cielo.
Non è stata la mano torta del tempo,
non i sicari gutturali della fame,
non la noncuranza delle maree
tessute con raggi a digiuno
e banchetti nell’imbrunire,
ad abbandonare carcasse di acqua
dove boccheggiano le branchie del Nulla.
Una perla sola breccia, senza lamenti,
per il dimesso linguaggio dello scarto.