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Intervista a Flavio Sciolè

Nell'intervista è presentato il nuovo volume antologico di Flavio Sciolè, dal titolo “Del Grottesco”, uscito per l'editore Holy Edit nel settembre 2020

La copertina dell’ultimo libro di Flavio Scioléè, “Del grottesco” (Holy Edit, 2020)

Del Grottesco è il titolo incisivo del libro di Flavio Sciolè, uscito per l’editore Holy Edit nel settembre 2020, ovvero subito dopo l’estate del disgelo, quella del timido ma importante tentativo di ripartenza per le arti dello spettacolo. A tal proposito, non c’è dubbio che il posto vuoto lasciato dai teatri chiusi, schiusi o semi aperti sia stato quanto meno tenuto in caldo dalla scrittura e dalla pubblicazione di libri, vero baluardo della stagione teatrale “venti venti”.

Il volume di Sciolè è una antologia di drammi più o meno recenti, ma non si tratta di un progetto peregrino, non una miscellanea messa su acriticamente assommando dei testi privi di un “humus”, di un collante significativo. Tutto l’opposto: Del Grottesco è una raccolta sistematica, calibrata, assolutamente progettuale. Quattordici pièce, articolate in tre cicli drammaturgici, più una sezione di “cattive drammaturgie” per citare direttamente il suo autore. Un’ultima doverosa parola merita la veste editoriale del volume, curatissima ed assolutamente accattivante sul piano estetico, dalla copertina stilosa e rilucente all’impaginazione ariosa e agile. Un valore aggiunto quanto mai netto rispetto alla versione e-book che ne aveva anticipato l’uscita nel 2017.

Ma passiamo senza indugi la parola all’autore, Flavio Sciolè, per una presentazione più precisa del suo libro “DEL GROTTESCO – Il Principe Bozzolone ed altre cattive drammaturgie”.

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Flavio Sciolè, tu ami definirti “anti-artista”, parli delle tue opere come “disopere”, dei tuoi testi come “antitesti”, dei tuoi film come “antifilm” e l’elenco potrebbe proseguire, vista la trasversalità del tuo linguaggio artistico. Chi ha seguito il tuo percorso sa bene che questa terminologia non risponde ad un vezzo né ad un motto di spirito; al contrario si tratta di definizioni che rientrano in una solida poetica artistica, o meglio anti-artistica. Una poetica votata alla destituzione del linguaggio prevalente, in cui l’opera d’arte rischia quasi sempre di porsi come momento consolatorio o di svago, ma soprattutto come specchio per confermare un sistema di valori culturali imperanti. Fatta questa premessa, potrebbe però apparire che la tua produzione artistica sia un atto di pura protesta, di distruzione di codice (lo stereotipo dell’artista di avanguardia), più che di costruzione e di proposta. Sfogliando invece questo tuo ultimo libro, colpisce la sua struttura organica e progettuale. Puoi raccontarci quale è stata la genesi del libro?

La copertina di “Libero Teatro in Libero Stato” (Holy Edit)

Il volume segue ‘Libero Teatro In Libero Stato’ (https://www.teatrionline.com/2018/12/libero-teatro-in-libero-stato-di-flavio-sciole-holy-edit/) sempre pubblicato dalla Holy Edit. Il primo libro raccoglieva principalmente miei antitesti portati in scena con Teatro Ateo. In quel caso avevo privilegiato la pubblicazione di opere già rappresentate per dare un seguito progettuale ai live, quei testi infatti, in alcuni casi, hanno un senso compiuto quando sono rappresentati, erano quindi un tentativo di fermare su carta ‘residui d’opere’, catarsi sceniche nate per essere perdute. ‘Del Grottesco’ nasce in seguito ad alcune conversazioni con l’editore, Luca Torzolini, a cui avevo fatto leggere alcuni miei lavori apparentemente diversi dal mio solito scrivere. Li ho creati nel tempo, sporadicamente, intervallandoli alla mia produzione ‘normale’ maggiormente dedicata alla destrutturazione ed alla poesia. In questo libro sono raccolte storie fintamente semplici e drammaturgicamente classiche (se è mai possibile usare questo termine rispetto al mio teatro). In realtà l’intento era quello di dare una mia visione dell’uomo ulteriormente dissacrante e cinica. Da bambino osservavo spesso le formiche e mi meravigliavo della loro incessante voglia di vivere, lavorare, agitarsi. Poi da ragazzo ho riscontrato queste ‘patologie’ nell’uomo, sempre in fermento, sempre in azione, mai, o solo raramente, capace di fermarsi ad osservare l’immensità di un paesaggio, sempre cieco ai richiami del proprio io, vittima di una catena di montaggio sociale inesorabile ed ineluttabile. Ma torniamo a noi, Luca ha subito deciso di far uscire in volume questi tredici testi nel 2018, in versione digitale (e-book). Quest’anno, nonostante i miei tentativi di dissuaderlo, è andata in stampa la versione cartacea. La postfazione è di Giorgia Tribuiani, l’autrice dello stupendo ‘Guasti’. In quei giorni ci sentivamo spesso dato che lei stava scrivendo Blu (uscirà nel 2021 per Fazi), un romanzo che ruota attorno al mondo della performance ed in cui sono incluso anche io (non anticipo in che veste); mi è sembrato naturale chiedere a lei uno scritto.

Flavio Sciolè in scena con “Lo storpio” – Teatro Villaggio, Roma (1999). Foto di Emanuele Vagni

Si tratta di una antologia strutturata per cicli. È una pratica autorale per te consona, in qualche modo rispondente alla tua visione teatrale?

In realtà considero tutto il mio teatro, quello racchiuso sotto la voce Teatro Ateo, un enorme ciclo che poi, al suo interno, ne contiene altri. Tutti questi testi hanno un registro drammaturgico votato alla poesia ed alla disarticolazione; quelli di Del Grottesco, come ti scrivevo sopra, sono diversi, volutamente altrove. Anche nel mio anticinema ho usato spesso questa pratica. Penso al ciclo Delirium, al ciclo Beat o al ciclo Narciso. Tutti hanno però un punto di partenza che immagino inizialmente autoconcluso, invece poi, dopo la creazione, continuo a cogitare azioni-pensieri-parole nella stessa zona ed ecco che si crea un secondo capitolo e poi un altro e così via. Direi che si tratta di visioni, immagini, suoni che poi infine trascrivo-pratico-materializzo.

Flavio Sciolè al Macro. Foto di Gerald Bruneau, fotografo della Factory di Andy Warhol

Il ciclo drammaturgico principale è quello di Bozzolone, un principe, un re ma soprattutto “anti-protagonista”. Chi è Bozzolone?

Bozzolone, col suo egoismo infantile e la sua voracità, rappresenta un po’ l’avidità della razza umana, il suo fermento autodistruttivo. Il suo continuo bisogno di cibo rispecchia l’ansia antropica di possedere, di avere, oltre qualunque limite, oltre ogni bisogno. L’ho fatto muovere in un micromondo, privo di riferimenti precisi, sappiamo che si tratta di un regno ma non conosciamo né il luogo esatto né l’epoca storica. In questo ciclo credo d’aver raccontato i vizi dell’uomo, soprattutto rispetto al potere. La bramosia e il desio di dominare esistono da sempre e sono radicati nell’essere umano. Il primo testo l’ho scritto a circa 26 anni mentre frequentavo il Laboratorio Delle Arti Sceniche (l’accademia in cui mi sono formato). Era un tempo interamente dedicato al teatro e questo strano personaggio è sorto tra un viaggio in treno e l’altro, ogni giorno arrivava uno spunto ed io stesso mi stupivo di quello che poteva accadergli. Credevo fosse finita lì, invece dopo circa dieci anni Bozzolone è tornato a trovarmi ed a raccontarmi altre storie. Dovevano essere due ma poi sono diventate tre e così via, ho provato anche ad ucciderlo (senza anticipare troppo) ma è sempre risorto. Adesso, ad esempio, so che è da qualche parte pronto a raccontarmi nuove avventure.

Flavio Sciolè in azione, in un passaggio del video “Kristo 33” (2002)

Completano il volume altri due cicli drammaturgici: il ciclo di Nenè ed il ciclo dell’albero. Quali sono i tratti più tipici di questi testi? In che cosa differiscono dal ciclo di Bozzolone ed in che modo invece completano la sua poetica?

Tranne Bozzolone tutti gli altri testi fanno riferimento indirettamente e trasfigurati a situazioni che ho avuto modo di vedere o di cui mi hanno raccontato. In ‘Nenè’ il tema è quello degli anziani maltrattati-bistrattati quando non servono più, quando diventano inutilizzabili-inutili. L’obsolescenza coinvolge ormai anche le persone, il sistema produttivo decide quanto e quando siamo indispensabili. Se non hai un ruolo sociale sei considerato inutile, insopportabilmente inutile, asociale. Gli artisti sono un chiaro esempio di questo metodo che ci impone un ruolo, una recita di fine anno in cui tutti dobbiamo ‘apparire’ più buoni e felici, ‘che il nostro piangere fa male al re’, come direbbe Jannacci. Nel ‘Ciclo dell’albero’ torno su ripetizioni-ossessioni e non-sense con un personaggio di nome Abete. Grazie alla sua deficitaria condizione, non sappiamo se reale o fittizia, agisce indisturbato e con serialità commettendo crimini in un clima surreale.

Flavio Sciolè. Foto di Chiara Francesca Cirillo

Il “finale” del libro è esplosivo: “all’ombra” ampia dei tre grandi cicli drammaturgici, il lettore trova tre pièce autonome, che tu racchiudi sotto l’etichetta di Cattive Drammaturgie. Che cos’è per Flavio Sciolè la “cattiva drammaturgia” e che cos’è il “grottesco”, concetto eponimo di questo tuo volume antologico?

Sono tre testi che non appartengono a nessun ciclo ma tutti e tre espongono caratteri negativi ed hanno a che vedere con la morte. In ‘A casa del morto’, con i tempi classici del teatro, mostro il crudo cinismo, la finta retorica dei funerali e come siano grette e venali le persone anche di fronte ad una perdita.

Il signore dà, il signore toglie’ si svolge in una camera d’ospedale in cui persone in fin di vita si svelano maggiormente sincere rispetto ai vivi in visita che invece proseguono nella inutile recita della vita.

In ‘Male non fare, paura non avere’ due ‘orrendi’ anziani commentano la loro vita passata trascorsa nel materialismo e nel vuoto.

Il grottesco, per tornare alla tua domanda, mi ha sempre affascinato. Indica il paradosso, il non senso di tanta vita spesa inutilmente nell’inseguire miraggi vani, obiettivi decisi da altri. La cattiveria, invece, fa da contrappunto al buonismo, al qualunquismo dei buoni sentimenti che non porta mai da nessuna parte se non all’oblio dell’io, all’addomesticamento, allo spegnersi d’ogni cervello negli ingranaggi ineluttabili della catena di montaggio.

Flavio Sciolè e Torzolini sul set di “Baumwolle”. Foto di Holy Cult

Per concludere, una parola su Holy Edit, una casa editrice con la quale sembra essere sbocciato un sodalizio artistico particolarmente virtuoso.

Con Luca ci conosciamo da tempo, i primi rapporti tra noi sono nati nel 2013 circa quando ho firmato con la sua Holy Film che distribuisce una parte dei mei antifilm. Nello stesso periodo lui ha preso a girare un documentario su di me ‘Non sono d’accordo comunque’ (proiettato al Macro l’anno scorso) ed io ho interpretato un suo corto surreale ‘Baumwolle’ (la storia di un cameriere che cammina sempre senza fermarsi mai). La collaborazione è proseguita quando ha fondato la Holy Expo, una galleria online che vende opere d’arte ed all’interno della quale ho in esposizione resti di performance, foto e parti di alcune installazioni. Torzolini è un artista prima di essere un mecenate, si pone quindi in empatia con gli stati dell’autore lasciando una libertà assoluta: non ha posizioni censorie e non interferisce mai col processo creativo. Un altro suo pregio è quello di porsi con tutti allo stesso modo: non è mai servile né volto al compromesso. A breve partirà Holy Cult, progetto che ingloba tutti i suoi Holy (casa editrice, casa di produzione, ecc) e che si prevede dirompente.

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CREDITS:

TITOLO: Del Grottesco

SOTTOTITOLO: Il principe Bozzolone ed altre cattive drammaturgie

GENERE: Libro (Teatro)

AUTORE: Flavio Sciolè

POSTFAZIONE: Giorgia Tribuiani

EDITORE: Holy Edit

FOTO COPERTINA: Fabiana Appicciafuoco

PAGINE: 200

LINGUA: Italiano

Anno: 2017

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CARATTERISTICHE:

Copertina Rigida

Pagine 200

Costo 15 euro

Disponibile anche in formato e-book, e-pub (5,00 euro)

LINK: https://www.holyedit.com/it/prodotto/del-grottesco/

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Sinossi

Il libro raccoglie 13 testi teatrali di Flavio Sciolè tutti uniti dal grottesco. Il ciclo Bozzolone narra le vicende di uno strano principe dedito al cibo. Il ciclo Dell’Albero ed il ciclo Nenè affrontano a tinte scure la vecchiaia e le sue derive. Quello che si narra è l’uomo e il suo non saper vivere che di compromessi, falsità e degrado. La postfazione è di Giorgia Tribuiani.

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