La Scala torna a danzare dal vivo, con un pubblico in sala.
Dopo vari mesi di chiusura e spettacoli online, le porte del Piermarini si riaprono agli appassionati di balletto con tre rappresentazioni di ‘Serata Quattro Coreografi’ che, come il titolo suggerisce, riunisce novità e riprese di quattro firme coreografiche e musicali.
Partiamo con ‘Verdi Suite’ del direttore del corpo di ballo Manuel Legris, primo titolo allestito alla sua direzione della compagnia scaligera sulle note del genio di Busseto. Una novità vista per ora solo in streaming in occasione di ‘A riveder le stelle’, prima del 7 dicembre trasmessa in streaming a causa della pandemia, ora ampliata e rivisitata. 19 sono i protagonisti in scena in un brano che vuole essere un messaggio di energia e di brillantezza, una dichiarazione d’amore per Verdi e per la danza accademica.
Come ci spiega lo stesso Legris, la composizione si suddivide in tre capitoli.
Un primo collettivo d’entrée sulle note del ‘Ballo della Regina’, con quattro coppie, quattro soliste e una coppia protagonista di un pas de deux; una seconda centrale che riprende la pièce di ‘A riveder le stelle’, con 5 interpreti impegnati in a soli, pas de deux e pas de troix, e una parte finale, speculare alla prima con inizialmente quattro coppie e quattro danzatrici che attorniano i due partner protagonisti del pas de deux centrale, e in seguito altri 5 interpreti che entrano in scena gradualmente per un finale d’insieme.
La bacchetta di Kevin Rhodes segue bene il ritmo, rallentato ad hoc per seguire il tempo della danza. Le scenografie sono quelle del secondo atto de ‘Il sogno di una notte di mezza estate’ di Luisa Spinatelli, così come i costumi, di un’eleganza ricca ma mai eccessiva che complementa perfettamente la bellezza di musica e danza.
Proseguiamo con ‘Movements to Stravinsky’, creato per il balletto di Vienna da András Lukács e per la prima volta in scena al Teatro alla Scala.
Un brano definito dal coreografo stesso ‘senza trama e senza ruoli definiti’, dove musica, coreografia e scenografia sono solo strumenti per rapportarsi direttamente alla bellezza del movimento, vero protagonista della pièce.
12 sono i danzatori in scena, 6 donne e 6 uomini di età diverse ma complementari per sensibilità artistica, punto centrale per Lukács che mira a evidenziare le potenzialità di ciascuno attraverso un movimento non accademico ma libero e particolarmente intenso, mezzo per esprimere sentimenti profondi che nascono dall’interno più nascosto.
All’inizio il corpo di ballo si presenta entrando e uscendo di scena camminando geometricamente, seguono passi a due, a soli, un bellissimo pas de deux centrale e ancora due scene d’insieme, una con soli giochi di braccia e una in chiusura in camminata, speculare all’inizio.
La base musicale è ‘La Pulcinella’ di Stravinsky, fonte d’ispirazione anche per i costumi, di stampo rinascimentale. Non essendoci scenografie (un solo fondale nero che scende e sale dialogando con la coreografia), i costumi hanno un ruolo importante: grandi collari rinascimentali, polsiere o altri dettagli che richiamano il periodo storico, tutti neri ad eccezione della gonna bianca del tutù della protagonista del pas de deux centrale – una meravigliosa Nicoletta Manni nella serata del 9 giugno.
Terzo coreografo protagonista è Jiří Bubeníček con il suo ‘Canon in D Major’, nuova produzione sul palco del Piermarini anche se già interpretata varie volte dai suoi danzatori nei tour di Roberto Bolle and Friends.
Il lavoro si presenta come un tributo al divenire della vita nel suo proseguire fino alla decadenza, in omaggio alle nonne del coreografo, Olga e Marie.
Una cornice funge da fondale, dove si alternano varie proiezioni dei dipinti di Leonardo Da Vinci come celebrazione della bellezza della giovinezza e dell’età. In scena tre danzatori maschi impersonano tre angeli che conducono le nonne in paradiso, esplorando un movimento in stile neoclassico per salti e giri ma anche contemporaneo per passaggi a terra e dinamismo. Tutto il corpo asseconda l’estetica delle immagini e della musica che, oltre alle note del Canone di Palchelbel, vede il contributo di Otto, fratello gemello del coreografo, per l’introduzione iniziale che accompagna una suggestiva camminata dei danzatori, evidenziandone bellezza e fisicità statuaria.
Riprendendo le parole del coreografo stesso, possiamo a ragion dire che ‘le emozioni sono i veri colori del balletto’.
In conclusione ‘Concerto DSCH’ di Alexei Ratmansky, un nome in codice che svela il leit motif di ‘re, mi bemolle, do, si’ che risuona spesso nelle opere del musicista russo Dimitrij Šostakovič.
La coreografia di Ratmansky si deve intendere come un omaggio personale al compositore. Già vista in scena al Piermarini nel 2012, è costruita sul ‘Secondo Concerto per pianoforte’ e si configura come un flusso continuo dove la danza si evolve e sorprende lo spettatore con il suo divenire mutevole. Dalla coreografia iniziale di due ragazzi di fronte a un gruppo di danzatori si scatenano una serie di dinamiche, in cui si succedono gruppi e duetti di ballerini. Anche in questo caso, centro della composizione è un pas de deux, la cui bellezza si nasconde nei dettagli e nella sintonia con la musica.
Chiari sono i riferimenti alla Russia sovietica, dai costumi alle semplici acconciature, ma anche dal ruolo rivestito dal corpo di ballo: non solo un semplice accompagnamento delle performance dei protagonisti, bensì una vera e propria compagnia di cui i protagonisti fanno parte, attraversata da dinamiche sociali e drammaturgiche come nella vita vera.
Note di merito per tutti gli interpreti e per il Corpo di Ballo, elogiato da tutti i coreografi per doti tecniche, interpretative e predisposizione all’apprendimento di nuovi stili. Caratteristiche importanti per una compagnia che speriamo di veder brillare di nuovo su quel palcoscenico che ci è tanto mancato in tutti questi mesi.
Letizia Cantù