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Io Eva … femmena e malafemmena

Recensione di Tania Turnaturi

Lina Senese in concerto al Teatro Ariston di Gaeta

Il percorso dell’anima, anzi … della doppia anima e della duplice vita di Lina Senese. 

All’apertura del sipario una sirena abbraccia l’aria con la voce, sulle note di Tous les visages de l’amour (versione francese di She, in italiano Lei), dell’indimenticato Aznavour. 

Una sirena dalla voce ammaliante, come la mitica Circe che “con bella voce cantava” (Odissea, Libro X), incantando l’astuto Odisseo approdato su questa costa laziale.

Il morbido volteggio di due ampie ali abbraccia Lina che rievoca come, avvolta dal buio improvviso 28 anni fa, intuì di avere due immense ali che la fecero volare in un mondo di luci e suoni popolato di donne a cui volle dare vita con la sua voce, sconfiggendo così l’insidiosa retinite pigmentosa che le oscurava la vista. Ecco, allora, la seconda anima, quella napoletana che ‘vola via verso le parole più belle’ come suggerisce la canzone Cu’mme! di Murolo.

Affiancata dal fratello Giovanni alla chitarra e da quattro musicisti, l’artista inizia il suo spettacolo di teatro e canto, autrice della drammaturgia in cui sintetizza pensieri, sensazioni ed emozioni che si legano alla musica della sua terra, in un continuo flusso e riflusso, come la marea.

Il connubio inscindibile con Napoli è condensato nel titolo del concerto, in cui l’assonanza ribadisce la dedica alle donne, cui vuole dare voce nelle due lingue che le sono congeniali per nascita e formazione culturale: napoletana e francese.

Intona, elegante e sanguigna, I’ te vurria vasà e i sentimenti diventano palpabili. Immancabile Pino Daniele, col brano d’antan Saglie saglie. Di Era de maggio racconta che studiando a Parigi, un giorno si trovò a canticchiarla in francese e 4 anni fa la Siae ha riconosciuto ufficialmente la sua versione.

Ricordi e dolori trascolorano gli uni negli altri, si potenziano e si stemperano tra il prima e il dopo, sul crinale dell’anima che segna il passaggio dalla passione alla rinascita. Bagliori di vita, pensieri del cuore, slanci poetici frammentati, citazioni di donne che hanno vissuto d’amore, sfrontate o sottomesse. Nel lungo viaggio la musica permea la sua vita artistica e personale e si eleva a spettacolo. 

È il sortilegio di un’artista che canta e vive i sentimenti che esprime, espandendoli nello spazio circostante mentre la voce sussurra o vibra potente, si strugge sperduta e impetuosa, lanciando il messaggio che “dall’inferno del dolore si può uscire”.

Gianni Donati e Pina Sciarra sviluppano la tessitura che raccorda i vari brani descrivendone la genesi o svelando aneddoti: Bella ciao nata come canto delle mondine padane è poi diventata la canzone della Resistenza, oppure ’O sole mio musicata sui versi di Giovanni Capurro da Eduardo Di Capua in una giornata di sole a Odessa nel 1898. 

Con Maruzzella, dedicata da Carosone alla moglie, Lina abbraccia l’aria satura di musica e poesia, Voce ’e notte ricorda l’amore contrastato di due giovani costretti a separarsi, che poi il destino riavvicinerà. Mentre Francesco Azzari intreccia una danza con le ballerine della Dance Art di Itri, torna sul palco nelle vesti succinte e opulente della sciantosa Ninì Tirabusciò audace e popolaresca, nei cui panni la vis comica di Lina è capace di catalizzare la risata liberatoria anche con una barzelletta.

Dopo un nuovo intermezzo di danza, il sanguigno abito rosso è icastica immagine della passione e dell’amore, ‘fil rouge’ della tradizione musicale napoletana sintetizzata in Malafemmena di Totò. La tragica attualità della guerra irrompe con O surdato ‘nnammurato e provoca brividi di struggimento Cappuccio rosso di Roberto Vecchioni dedicata alla memoria della giovane turca Ayse Deniz Karacagil che si batteva per i diritti, morta in battaglia il 29 maggio 2017, a 24 anni, combattendo in Siria contro l’Isis. 

L’anima francese riaffiora sussurrando le dolenti parole di Comme d’habitude, portata al successo nell’edizione inglese da Frank Sinatra come My way. Gran finale scoppiettante con i ritmi mediterranei di Tammuriata nera e Matalena Matalena che riecheggia i baccanali romani che a Napoli si svolgevano in una grotta l’8 di settembre. I rituali pagani continuarono anche col Cristianesimo e i bambini concepiti durante la festa orgiastica venivano chiamati “figli da Maronna”.

Dopo il brano Le donne sono tutt’altra cosa cantata con voce flautata da Gianni Donati, Lina si congeda dal pubblico entusiasta con Nel blu dipinto di blu, estrema sintesi dello spettacolo.

I musicisti che suonano dal vivo assecondano i passaggi dell’artista da un registro espressivo all’altro: Raffaele Cherubino arrangiamenti, piano, sax e flauto, alle chitarre Massimo Izzizzari, alla batteria Azeglio Izzizzari, al basso Mauro Arduini. Coreografie di Francesco Azzari.

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