La storia non è affatto semplice. Inizia come un giallo che si ingarbuglia sempre più e si sviluppa serrato e incalzante, dove gli eventi si susseguono, aumentano le figure coinvolte e gli inquirenti sono scarsamente motivati. Corruzione e mafia man mano emergono lambendo gli insospettabili, ma l’autore non le nomina espressamente.
Il romanzo breve Una storia semplice, ultima opera di Leonardo Sciascia pubblicata proprio nei giorni della sua morte, è ispirato al furto della Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Caravaggio dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo avvenuto nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969, non più recuperato e inserito dall’FBI nella lista mondiale dei dieci capolavori rubati più importanti.
La vicenda inizia con la telefonata alla questura dell’ex diplomatico Giorgio Roccella che al brigadiere dichiara di aver trovato qualcosa e chiede del questore. Il brigadiere vorrebbe andare a controllare ma il commissario risponde che si tratta di uno scherzo. Il giorno dopo Roccella viene trovato morto con accanto un foglio su cui è scritto “Ho trovato”.
Sembra la messinscena di un omicidio ma il commissario e il questore propendono per il suicidio. Una ragnatela di ipocrisie, ambiguità, complicità, opportunismi avviluppa le relazioni e intralcia il corso della giustizia.
Dalle indagini emerge che l’uomo aveva chiamato l’amico professor Carmelo Franzò dicendo che era tornato per recuperare lettere autografe che Garibaldi e Pirandello avevano scritto al nonno e al bisnonno e di aver trovato in soffitta un quadro famoso scomparso qualche anno prima. Nel frattempo vengono rinvenuti altri cadaveri e arrestato un uomo che guida una Volvo. In caserma si consuma l’epilogo e al brigadiere, cui sta a cuore la verità, rimane davvero poco tempo per “ancora una volta scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia“. L’uomo della Volvo viene liberato e riconosce un complice dei traffici illeciti ma tira dritto e così si conclude il romanzo: «Pensò di tornare indietro, alla questura. Ma un momento dopo: “E che, vado di nuovo a cacciarmi in un guaio, e più grosso ancora?” Riprese cantando la strada verso casa».
Efficace la scelta registica di Giovanni Anfuso, che ha adattato il romanzo mettendo in scena una rappresentazione corale in cui ogni personaggio pronuncia le proprie battute seguite dall’indicazione del personaggio che le sta esprimendo, come se stesse leggendo il brano del libro, mentre le musiche di Paolo Daniele sottolineano i picchi di suspense.
In alcune figure emerge la vena ironica e perfino grottesca del testo che evidenzia la critica dello scrittore siciliano alle aberrazioni della società e delle istituzioni che non hanno a cuore il perseguimento della verità e della giustizia, come quella un po’ macchiettistica del questore che più volte entra in scena per sostenere con piglio supponente la tesi precostituita “suicidio!”. E l’arbitrio soppianta il diritto.
Giuseppe Pambieri modula toni e timbri recitativi per sostenere due ruoli: il narratore cioè lo stesso Sciascia, e il professor Franzò, posizionandosi in un ruolo o nell’altro in una delle due postazioni ai lati del palcoscenico. Molto ben amalgamato il cast che entra ed esce con tempi tecnici sincronizzati: Paolo Giovannucci, Stefano Messina, Davide Sbrogiò, Liliana Randi, Carlo Lizzani, Geppi Di Stasio, Marcello Montalto, Luigi Nicotra e Giovanni Carpani.
Essenziale la scenografia di Alessandro Chiti, con scrivanie e sedie che simulano gli uffici della questura e il fondale di una grande libreria dipinta dove il gioco di luci di Pietro Sperduti rivela sul retro una scala metallica e il dipinto del Caravaggio.
Tania Turnaturi