Una commedia nera, nerissima, ma travestita da vaudeville: è sfavillante il debutto al Teatro Ambra Jovinelli de Il delitto di Via dell’Orsina, atto unico di Eugène Labiche, diretto da Andrée Ruth Shammah, prodotto dal Teatro Franco Parenti e Fondazione Teatro della Toscana, in scena fino al 17 dicembre.
Un classico del teatro, uno dei testi più conosciuti di Labiche che l’allestimento di Shammah trasforma in uno spettacolo semplicemente sublime nella sua perfezione, leggerissimo, ma al tempo stesso spietato che svela i peggiori aspetti dell’essere umano, pronto a tutto pur di mantenere le apparenze, anche dimenticando la moralità.
In scena la straordinaria coppia Massimo Dapporto e Antonello Fassari: al centro della vicenda, due uomini, Zancopé, ricco nobile, elegante e altezzoso, (Massimo Dapporto), e Mistenghi, cuore proletario rozzo e volgare (Antonello Fassari), ex compagni di liceo che si risvegliano nello stesso letto, con le mani sporche e le tasche piene di carbone senza ricordare nulla di quello che è accaduto la notte precedente, dopo una riunione tra ex compagni. Quando dal giornale apprendono della morte di una giovane carbonaia, sono certi di essere i responsabili dell’omicidio. Ma i due protagonisti sono disposti a tutto pur di salvare le apparenze e sbarazzarsi di ogni prova.
Il testo, adattato con la Shammah insieme a Giorgio Melazzi, mantiene inalterata la spassosa struttura della pochade e il meccanismo perfetto degli equivoci, ma in un attimo i toni minutano e dalla pochede infarcita di equivoci al noir il passo e breve.
La leggerezza dei toni presto vanisce per svelare le inquietudini di un’epoca: la regista si riserva di intervenire, con estrema efficacia, anche nell’arco temporale della vicenda, spostandola dalla Francia perbenista e ottocentesca di Labiche all’Italia del primo dopoguerra, prefascista e terribilmente conformista.
Il risultato è un inedito connubio fra gli stili e i generi con cui la regista si diverte a giocare: restano soprattutto il ritmo frenetico e spensierato del vaudeville e la tradizione del teatro brillante italiano che racconta le inquietudini di una società che sta per cambiare, svelando il peggio degli essere umani. Per regalare maggiore spessore alla vicenda la regista ruba qualche battuta da altre commedie di Labiche, inserisce le figure di due camerieri (uno giovane e uno anziano per raccontare il cambio generazionale), inserisce qualche breve numero cantato… il risultato è unico e originale per uno spettacolo delizioso che indaga sulla società attraverso toni disincantati e a tratti beckettiani.
Semplicemente sublime la coppia di attori Massimo Dapporto-Antonello Fassari in una prova indimenticabile. Energico, vitale, elegante, snob e altezzoso Dapporto quando volgare, qualunquista e rozzo Fassari, i due attori riescono a tratteggiare con travolgente schiettezza i loro personaggi agli antipodi, disegnandoli con nonchalance, ridicolizzandoli, ma senza scivolare mai nella macchietta, svelandone via via non solo i più bassi istinti, ma anche le ipocrisie che mal ci celano sotto l’apparente rituale dell’elegante conformismo borghese dell’epoca.
Perfettamente in linea con lo spirito della commedia il resto del cast, Marco Balbi, Andrea Soffiantini, Christian Pradella, Luca Cesa-Bianchi. Completano l’allestimento le scene di interni borghesi, con cambi di sipario, di Margherita Palli e le spassose musiche di Alessandro Nidi. Un vaudeville noir ricco di contaminazioni, omaggio al teatro tutto da vedere e da applaudire, in scena fino al 17 dicembre a Roma.
Fabiana Raponi