Casse accatastate, drappi ammucchiati, costumi abbandonati in una luce grigio polvere costituiscono lo scenario di un teatro in disarmo in cui due attori dalla lunga consuetudine classica si scambiano amare considerazioni sull’ineluttabile fine del teatro di prosa soppiantato dagli spettacoli di cafè chantant che attirano la curiosità degli spettatori, svuotando i teatri che propongono la drammaturgia tradizionale.
Fedeli ai loro ruoli, Felice e Peppino non vogliono riciclarsi verso le nuove tendenze e sono ridotti alla fame insieme alle loro compagne di vita e di scena.
Sono gli inizi del Novecento e la Belle Époque caratterizza tutti gli aspetti della società dall’arte pittorica alla decorazione, dalla musica alla moda, modificando il gusto e lo stile di vita.
Eduardo Scarpetta scatta un’istantanea dell’epoca attraverso le due coppie di teatranti che lasciano il teatro comunale di Pozzuoli e saranno loro malgrado costretti a riciclarsi nei ruoli e nel repertorio di uno dei nuovi locali in voga. Tato Russo riscrive la commedia trasformandola in un vaudeville, dilatando la vicenda originaria che si svolge in una giornata, nella metafora di un periodo storico denso di significati culturali, delineando un affresco di quella condizione di disagio che vivevano all’epoca i teatri di prosa forzati a mutare fisionomia con gli attori obbligati ad adattarsi a un nuovo repertorio.
In un arco temporale che va dalla crisi teatrale con l’affermazione del cafè chantant all’inevitabile fine di questo incalzato dall’apparire del cinema, si dilata la vicenda dei quattro protagonisti che dal linguaggio della tragedia trapassano a quello della farsa in una girandola di avventure, caratteri, macchiette, trovate, intrecci, sciantose, caricature, canzoni, travestimenti e svelamenti.
L’apporto di Tato Russo (che si attribuisce anche la regia) è proprio in questo contrasto di stili e di colori fra un primo atto mesto e pensieroso su sfondo grigio e un secondo atto frizzante, variopinto e sfavillante di paillettes, trucco clownesco e giochi di prestigio.
Il finale prelude all’avvento del cinema con composizioni che sotto i diversi effetti di luce (di Roger La Fontaine) assumono la suggestione di magiche inquadrature.
Uno spettacolo godibile, mesta denuncia sociale all’inizio, poi frizzante e scoppiettante, fantasioso e incalzante grazie alla bravura di tutti gli attori che si adattano a ogni stile recitativo, dal drammatico al varietà: al fianco di Tato Russo nel ruolo di Felice Sciosciammocca, si muovono con molta ecletticità Clelia Rondinella, Renato De Rienzo, Mario Brancaccio, Salvatore Esposito, Dodo Gagliarde, Letizia Netti, Carmen Pommella, Francesco Ruotolo, Caterina Scalaprice, Massimo Sorrentino, Diletta Bonè, Antonio Botta.
Fondamentale nell’assecondare il ritmo è la musica di Zeno Craig suonata dal vivo dall’Orchestra Gran Cafè Chantant. Le scene sono di Peppe Zarbo, i costumi di Giusy Giustino.