“Giulio Cesare” di Shakespeare in scena al Teatro Strehler è uno spettacolo che possiamo definire “eccessivo” (anche nella sua grandezza). Eccessivo nell’attualizzare la storia con uniformi, pistole e bombe, nel ricorrere a straordinari (e bellissimi) effetti speciali, nell’utilizzare in scena meccanismi di notevole impatto visivo che muovono in senso orizzontale e verticale mobili e pareti, che trasformano una stanza in un campo di battaglia (quella di Filippi) coperta di soldati caduti, e ancora nel dispiegare fiamme che escono impetuose dall’impiantito. Insomma il regista Carmelo Rifici non si è fatto mancare niente. Ma “eccessiva” si è anche dimostrata la sua intelligenza, il talento, la bravura. Lui è il vero deus ex machina. Rifici ha preso il testo, l’ha limato, tagliato ne ha esaltato quell’aria misteriosa, piena di presagi, di annunci, ha diretto gli attori esaltandone il linguaggio del corpo, l’espressionismo vocale e gestuale, ha diretto con sapienza lo spostamento delle masse. Applausi.
Nella prima parte il palcoscenico è immerso nelle tenebre che preludono la cupa atmosfera della congiura. Nel nome di un generico amore per la libertà e la patria i congiurati (i democratici Bruto e Cassio) pugnalano il “dittatore”, ma dimostreranno la loro incapacità a sviluppare nuove idee e verranno sconfitti dalla reazione rappresentata da Marc’Antonio e Ottaviano. “Giulio Cesare” è dunque una tragedia politica dove il dittatore prima di essere pugnalato svela la sua saggezza e umanità nel discorso che tiene parlando di sé e degli uomini che gli stanno attorno. Alla figura di Cesare si sovrappone, nel secondo atto quella di Marco Antonio con la grande demagogica orazione che travolge il discorso monotono e debole di Bruto e stimola la volubilità psicologica e l’emotività irrazionale della folla che alla fine lo applaude e condivide la difesa di Cesare. I congiurati sono così costretti a fuggire, ma sia Cassio che Bruto andranno incontro a una morte violenta dopo la sconfitta nella battaglia di Filippi, dove Bruto aveva incontrato lo spirito di Cesare. Viene dunque sconfitta l’idea di democrazia (ma sarebbe stata democrazia?) e trionfa la reazione.
Scritta alla svolta del XVI secolo, questa tragedia riflette il clima di ansietà dell’epoca e riverbera emblematicamente la crisi generale dell’uomo. E’ l’assenza di valori, di principi etici che generano la sfrenata volontà del potere all’interno del quale l’odio, l’invidia, la corruzione, il tornaconto, ieri come oggi, mettono in sonno i valori della libertà e della giustizia.
Ottimo il grande cast di attori (sono 23) tra i quali Massimo de Francovich nel ruolo di Giulio Cesare, Marco Foschi in quello di Bruto, Sergio Leone di Cassio, Danilo Nigrelli di Antonio, Marco Balbi di Cicerone .
Giulio Cesare di William Shakespeare
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