Correttezza formale nel canto e nel gesto. Lo storico allestimento di Brockhaus – Svoboda funziona sempre.
La Traviata degli specchi di Brockhaus – Svoboda, che già conoscevo, non mi ha sorpreso come la prima volta, è ovvio, ma ha confermato il mio apprezzamento per l’originalità dell’idea registica e per il forte impatto che la scenografia crea sullo spettatore con la complicità delle luci di Henning Brockhaus e di Fabrizio Gobbi e delle coreografie di Valentina Escobar.
L’originalità sta nella presentazione delle bellissime scene di Josef Svoboda, dipinte su pannelli stesi sul pavimento, l’uno sopra l’altro e via via tolti a vista, che si riflettono sul grande specchio obliquo del fondale, dando una visione tridimensionale e anche aerea di ciò che si svolge in palcoscenico, fino all’epilogo, dove, col graduale sollevarsi dello specchio, orchestra e pubblico entrano a far parte della morte di Violetta.
Fantastici i costumi ideati da Giancarlo Colis, specialmente quelli colorati delle donne e dei gruppi folkloristici, che, riflessi nel grande specchio, risaltano soprattutto nelle danze.
La mia attenzione comunque era rivolta ai coniugi Piazzola, che sulla scena interpretavano Violetta Valéry e Giorgio Germont.
Il giovane baritono Simone Piazzola ha tutte le carte in regola per essere un autorevole e composto Germont padre, la sua voce di bella pasta e di timbro scuro è messa al servizio di un’interpretazione intensa, basata sullo scavo psicologico del personaggio, e di un fraseggio variegato per l’attuazione della parola scenica, in linea con la meraviglia della scrittura verdiana e della differenziazione delle tinte. Il baritono riesce a contenere una voce corposa e ampissima in una linea di canto morbida sempre sul fiato fino al canto a fior di labbro. In “Pura siccome un angelo” il suono ampio e rotondo è valorizzato da un’emissione equilibrata e da un bellissimo modo di porgere. Il sostegno del suono in “Di Provenza”, i fiati lunghissimi e le morbide arcate sprigionano un grande pathos.
Sua moglie Jessica Nuccio ha il fisico per vestire bene gli abiti sontuosi di una provocante biondissima e sexy Violetta Valéry che alla festa in casa sua mostra autoreggenti e giarrettiere bianche cantando distesa, ma è credibile anche nelle vesti della donna sensibile e appassionata che alla fine si spoglia dei suoi orpelli per dare spazio all’amore e alla generosità.
Il soprano, belcantista dal bel colore vocale, ha dimestichezza col canto d’agilità, con gli acuti, col filato anche rinforzato, con la mezza voce, col canto sfumato. Il duetto con Giorgio Germont, morbidissimo nel canto e in orchestra, è un momento di penetrante poesia. La pulizia del suono e la sicurezza d’emissione contribuiscono a renderla convincente nel personaggio di Violetta.
Il tenore spagnolo Antonio Gandia ha teatralmente padroneggiato il ruolo di Alfredo Germont, ha fatto sfoggio di bella voce, squillo robusto ed emissione sicura. Maggior intensità d’accento tra i due avrebbe dato più spessore all’evoluzione del dramma.
Si sono mossi bene sotto il profilo scenico e vocale tutti gli artisti di contorno: Elisabetta Martorana (Flora Bervoix), Maurielle Tomao (Annina), Pietro Picone (Gastone), Alessandro Battiato (Barone Douphol), Andrea Pistolesi (Marchese d’Obigny), Giacomo Medici (dottor Grenvil), Alessandro Pucci (Giuseppe), Gianni Paci (domestico di Flora) e Roberto Gattei (un commissionario).
Abilità scenica e ottima gestione della voce hanno caratterizzato la prova del Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, preparato dal bravissimo M° Carlo Morganti.
L’Orchestra Regionale delle Marche, diretta da Speranza Scappucci, ha restituito le atmosfere ed è stata vicina ai cantanti.