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Trend – Nuove frontiere della scena britannica (13° edizione)

fotoPROGRAMMA:

28 / 31 ottobre

QUIETLY

di Owen McCafferty

interpretato e diretto da

Marco Foschi e Paolo Mazzarelli

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1 / 2 novembre

LUNGS

di Duncan Macmillan

con Sara Putignano e Davide Gagliardini

regia Massimiliano Farau

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4 / 6 novembre

EIGENGRAU

di Penelope Skinner

con Tommaso Amadio, Valeria Barreca, Federica Castellini, Massimiliano Setti

regia Gabriele Di Luca e Bruno Fornasari

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7 / 8 novembre

THE ONE

di Vicky Jones

con Margherita Laterza, Gianmarco Saurino, Barbara Petti

regia Roberto Di Maio

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10 novembre

BITCH BOXER

di Charlotte Josephine

con Lucrezia Guidone, Gabriele Falsetta, Ivan Alovisio

regia Ivan Alovisio

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12 / 15 novembre

DARK VANILLA JUNGLE

di Philip Ridley

con Monica Belardinelli

regia Carlo Emilio Lerici

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16 / 17 novembre

IT – WOUND – KILLER – NOW

4 monologhi di Philip Ridley

con Alice Arcuri, Michele Maganza, Luca Catello Sannino

messa in scena Luca Fiamenghi

un progetto ideato da Carlo Emilio Lerici

 

Spalanchiamo per la tredicesima volta una finestra sugli orizzonti della scrittura teatrale dell’Oltremanica, gettiamo uno sguardo ai modi di ritrarre l’uomo e la donna in società o ai margini della società in questo non facile inizio di terzo millennio ad opera di autrici e autori inglesi che compongono un panorama sempre di riferimento per i palcoscenici giovani, intellettuali e popolari di mezzo mondo. Apriamo un varco sulla drammaturgia più tempestiva, impegnata e disposta a un monitoraggio dei nostri vizi, delle nostre mancanze, dei nostri slittamenti più o meno visibili. Lo facciamo con “Trend – Nuove frontiere della scena britannica“, Festival di interesse culturale della Città di Roma, che ha il sostegno dall’Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Dipartimento Cultura di Roma Capitale, a riprova di una politica che ha a cuore un rapporto con la scrittura della scena del nord Europa, scrittura incline ad eleggere il teatro a materia di studio, e a pratica civile di formazione della coscienza.

Riserviamo a “Trend” un progetto di opere prime per l’Italia (tutte tranne una), di scoperte di autori non ancora ben diffusi da noi, di drammatizzazioni recenti o di percezioni di fenomeni giovanili o post-giovanili attuali, perseguendo una ricerca di caratteri fuori dalle convenzioni, garantendoci studi del comportamento generazionale, inquieto, talvolta ancora rabbioso (in sacche extra metropolitane) delle fasce più acerbe o meno toccate dal benessere. Abbiamo alimentato un coinvolgimento di comunità di attori studenti, di compagnie in crescita, di interpreti meritevoli e singoli, inserendo nel cartellone anche artisti già ben riconoscibili.

In “Quietly” di Owen McCafferty affrontiamo un duello duro e insanabile, e ci addentriamo nelle spire dei pensieri, degli asti, delle coscienze sporche di due reduci, da opposti fronti, dei letali scontri epocali ai tempi dell’Ira. In “Dark Vanilla Jungle” di Philip Ridley sbattiamo con la faccia contro una vita a rischio di infelicità permanente che, come sembra avvenire in ogni inciviltà odierna, ritrae con un selfie spietato una ragazza priva irreversibilmente di generi di conforto. E sempre di Ridley, abbiamo isolato e adottato alcuni brevi atti unici finora non conosciuti, accorpabili in una serata monografica. In “Eigengrau” di Penelope Skinner entrano in ballo gli schemi che saltano, le regole che s’invertono, l’anaffettività di creature scambiabili, le amicizie profondamente di superficie, il nulla che si sposta e diventa nulla. In “Lungs” di Duncan Macmillan si dibatte sulla possibilità/volontà di avere un figlio nell’ambito di una vita di coppia, con un lento mutamento climatico che renderà tutto aleatorio, con una deriva che porterà lontano. In “The One” di Vicky Jones c’è un uomo che sta con una donna, e c’è una donna che è stata con quell’uomo, e c’è un meccanismo distruttivo, un ciclo violento, non senza additivi di assurdo, di sbilanciamento, di orrore impenitente di sé. In “Bitch Boxer” di Charlotte Josephine s’addensa l’autoritratto d’una ragazza che, priva del tutor paterno, aspira a candidarsi alle Olimpiadi di boxe, con un misto di vigore e di tenerezza, di muscoli e di idee, di tensioni e di anticlimax.

Un catalogo di testi che ha per target spettatori giovani e meno giovani, filo-britannici ma anche senza appartenenze, amanti di testi tutti da scoprire, un pubblico che con un biglietto teatrale risparmia il costo d’un viaggio a Londra o a Edimburgo.

Rodolfo di Giammarco

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Dal 28 al 31 ottobre

Primo studio per

QUIETLY

di Owen McCafferty

traduzione Natalia di Giammarco

adattamento, messa in scena e interpreti Marco Foschi e Paolo Mazzarelli

disegno luci Luigi Biondi

produzione EMMEA’ TEATRO

QUIETLY si svolge tutto in un pub di Belfast, nell’Irlanda del nord, e racconta il primo incontro tra due uomini che, in un passato molto lontano che risale alla loro adolescenza, sono stati protagonisti di uno dei mille episodi di violenza legati alla questione irlandese. A fare da testimone a questo loro incontro, un barista polacco, impegnato a guardare una partita di calcio. Se è vero che la questione irlandese è non solo presente ma centrale in tutta la vicenda, è vero anche che in QUIETLY quelli che si incontrano in quel pub sono – in fondo – solo due uomini, due uomini che come tanti altri sono stati messi dalla storia e dal destino sulle opposte barricate di un conflitto, due uomini che si ritrovano le rispettive esistenze segnate indelebilmente da qualcosa che esisteva prima della loro nascita, prima della loro libertà di scelta, prima della loro storia. Due uomini che per poter continuare a vivere non più segnati dal passato, hanno bisogno di un confronto, e che questo sia testimoniato anche solo dalla presenza di un terzo, un testimone qualsiasi, il quale si auspica faccia tesoro dell’insegnamento e dell’esperienza altrui. Ma la storia, sia quella generale che quella privata, è irripetibile e allo stesso modo inevitabile: ogni generazione ricomincia da capo di nuovo l’esperienza del conflitto, del trauma, dell’elaborazione, come se ciò non fosse mai avvenuto prima. Condizione e destino dell’esistenza umana. Ecco perché, nelle semplici scelte di interpretazione e di messa in scena, abbiamo cercato di dare spazio al carattere “assoluto” dell’incontro fra i due, giocando a creare dei cortocircuiti che, pur parlando del conflitto irlandese e delle sue specifiche questioni, possano rimandare a ogni altro conflitto che affligge e divide gli uomini e le donne del nostro dannato presente.

Abbiamo ambientato la pièce, quindi, non esattamente in un pub irlandese, ma nel retro di un pub, in un luogo indefinito, abbandonato da anni – forse proprio da quando una bomba vi è esplosa – e quasi fuori dalla storia. La storia è lì a lato, presente e vicina, ma comunque altrove. E’ nel pub, che intuiamo dietro una tenda e da cui tutto giunge, la voce del barista polacco e dei clienti, le urla dei ragazzini, e la telecronaca della partita di calcio, in arabo come molte delle telecronache del calcio contemporaneo pescate in streaming da chissà dove. Voci e suoni che rimandano pur senza volerlo ad altri mondi, ad altri conflitti, ad altri uomini che cercano un senso ad una storia che senza chiedere loro il permesso li ha messi l’uno contro l’altro per sempre.

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1 – 2 novembre

LUNGS

di Duncan Macmillan

traduzione Matteo Colombo

con Sara Putignano e Davide Gagliardini

regia Massimiliano Farau

produzione Fondazione Teatro Due

In un’epoca di ansia globale, terrorismo, incertezza climatica e instabilità politica, una giovane coppia inizia la fatidica discussione sull’avere o meno un bambino, in un tempo serrato che non lascia spazio neanche al respiro. A pensarci troppo su, si finisce per non farlo più; ad affrettare la decisione al contrario si potrebbe incorrere in un disastro. Avere un bambino è una scelta da farsi per le giuste ragioni, ma quali sono esattamente queste giuste ragioni? Che cosa verrà distrutto per primo in questa estenuante decisione? Il loro rapporto di coppia o l’ambiente?

La storia d’amore disegnata da Macmillan è spiazzante e originale, brutalmente onesta, divertente, tagliente e attuale. All’inizio l’oggetto di discussione è l’avere un bambino, ma lentamente il fuoco del testo si sposta sull’argomento ecologico, sulla salvezza del pianeta e sull’assicurare alle future generazioni dell’aria respirabile; finché il punto diviene la capacità polmonare dei due personaggi in scena, con battute lunghe anche una pagina stampata.

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4 / 6 novembre

EIGENGRAU

di Penelope Skinner

traduzione Marco M. Casazza

con Tommaso Amadio, Valeria Barreca,

Federica Castellini, Massimiliano Setti

musica di scena Massimiliano Setti

scene e costumi Erika Carretta

versione per la scena e regia Gabriele Di Luca e Bruno Fornasari

produzione Carrozzeria Orfeo / Teatro Filodrammatici Milano

EIGENGRAU di Penelope Skinner è una divertentissima tragicommedia sui temi della solitudine e del bisogno di relazioni autentiche. Ma la ricerca dell’amore procede su terreni difficili.

Rose, un’inguaribile romantica, che si guadagna da vivere facendo la hostess in un Karaoke bar, divide l’appartamento con Cassie, femminista e attivista politica. Le due si sono conosciute su internet ed è chiaro fin da subito che non siano coinquiline ideali.

Rose, convinta di aver trovato l’amore, va a letto con Mark che, al contrario, ha solo bisogno di sesso e si presenta come il tipico metrosessuale anaffettivo, disposto a qualunque cosa pur di sedurre una donna. Anche lui ha qualche problema col proprio coinquilino: Tim, un vecchio compagno di università che non riesce a trovare lavoro, custodisce in casa le ceneri della nonna appena morta e, forse, cerca soltanto qualcuno da accudire e da amare.

Tim e Cassie vengono inevitabilmente coinvolti nella storia di sesso/amore fra il riluttante Mark e la pressante Rose, col risultato che Mark viene affascinato da Cassie, dimostrandosi addirittura disposto a “convertirsi” ai valori del femminismo pur di portarsela a letto, mentre Tim si prende una gran cotta per Rose che, però, cerca solo di usarlo per riconquistare Mark.

Il quartetto si ritrova così invischiato in una rete d’inganni e auto-inganni che sembrano non avere fine.

Tra legami e tradimenti, affiorano le paure e le ossessioni di una generazione che pare non aver più nulla in cui credere. Il linguaggio stesso, fatto di frasi tranciate, sputate e quasi mai portate fino in fondo, sembra indicare come anche le parole abbiano perso la capacità di svelare e raccontare di sé all’altro. Un testo affascinante e misterioso come il suo titolo originale, EIGENGRAU, termine tedesco, che si riferisce al grigio di fondo percepito dagli occhi quando sono immersi nella totale oscurità.

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7 / 8 novembre

THE ONE

di Vicky Jones

traduzione Natalia di Giammarco

con Margherita Laterza, Gianmarco Saurino e Barbara Petti

assistente regia Beatrice Fedi

musiche e video ATO

regia Roberto Di Maio

produzione Twins Compagnia del Centro Sperimentale Cinematografia

«Nulla soddisfa più la vanità che il confessarsi peccatori» O. Wilde

Un tripudio di violenza verbale dipinge la tela sporca di “The One”. La sordità emotiva la incornicia. Sembra un Guernica dell’amore. Un opera di Pollock erroneamente posta in verticale a vernice ancora fresca.

Al centro dell’opera l’uomo e la donna. Il loro corpo. I loro istinti. I loro limiti. Il loro sesso. Il loro accoppiarsi senza mai riuscire ad essere coppia. Tradirsi col sorriso. Ferirsi a suon di battute. Sarà questo l’arduo compito degli attori, unici e soli abitanti della scena.

Intorno pochi elementi, una scena vuota e asettica come l’anima dei tre protagonisti.

A colorare di “acidità” le piccole tele bianche sullo sfondo, saranno le video mappature, ad accompagnare il lento sciogliersi dell’empatia.

Jo, Harry e Kerry: una gara a chi rimane in piedi. “The One” è uno sguardo irriverente e crudo sulle relazioni sentimentali: il luogo che accoglie i più terribili tratti dell’uomo e se possibile li peggiora. Non c’è niente che l’autrice e i personaggi si vergognino di dire, non c’è alcun “clichè” che non possa essere rovesciato sorprendendoci e facendoci ridere e non c’è alcun sentimentalismo che resista all’umanità disgregata dei tre personaggi. La coppia è l’ultima forma di solidarietà nell’epoca della globalizzazione, ma carica com’è di tale responsabilità, diventa una bomba ad orologeria in cui ogni residuo di senso si riduce ad una esplosiva battaglia verbale.

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10 novembre

BITCH BOXER

di Charlotte Josephine

traduzione Valentina de Simone

con Lucrezia Guidone, Gabriele Falsetta, Ivan Alovisio

regia Ivan Alovisio

produzione Frömell Films

Londra. 2012. Per la prima volta le donne possono salire sul ring delle Olimpiadi di pugilato. Chloe Jackson è una pugile. Suo padre la allena per il combattimento che potrebbe cambiare la sua vita e portarla ai Giochi. La morte improvvisa del genitore e la necessità di andare avanti da sola metteranno Chloe di fronte al difficile compito di provare a cercare il suo posto in un mondo a cui non sente di appartenere. L’autrice Charlotte Josephine attraverso questo testo (e ai personaggi “della memoria” che ruotano attorno alla protagonista) si interroga su come si possa essere forti e allo stesso tempo concedersi il lusso della vulnerabilità, e poter abbassare le difese con le persone che amiamo.

Bitch Boxer rappresenta prima di tutto una sfida. Cercare di portare un linguaggio contemporaneo, con una trama tutto sommato semplice, ad un livello simbolico. Questo procedimento necessita di una densificazione del linguaggio e di un’apertura “a fisarmonica” del testo. In questo senso stiamo provando a restituire non la trama ma le sue possibili pieghe, cercando di mettere in luce il rapporto tra un padre morto e una ragazza che si conquista la qualificazione alle Olimpiadi del 2012. E se il match finale non fosse solo l’incontro che la porterà alle Olimpiadi ma un modo per conquistare se stessa? E il padre? È morto? O forse anche a lui manca un tassello esistenziale prima di lasciare definitivamente questa terra? Il testo offre queste possibilità di analisi, di senso, di sottotesto, e noi le cavalcheremo senza cedere a facili soluzioni interpretative.

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12 / 15 novembre

DARK VANILLA JUNGLE

di Philip Ridley

traduzione Fabiana Formica

con Monica Belardinelli

scene e costumi Alessandro Chiti

materiali video Enzo Aronica

elaborazione sonora Giuseppe D’Amato

adattamento e regia Carlo Emilio Lerici

produzione Trilly

Hanno chiesto ad Andrea se non prova vergogna.

Se non prova vergogna per quello che ha fatto al soldato.

Per quello che ha fatto al bambino.

Ma lei non si vergogna affatto.

E vuole spiegarvi il perché.

Nei prossimi anni, i maiali potrebbero volare e Philip Ridley scrivere un testo pieno di gioia, risate e allegria. Nel frattempo però, preferisce continuare il suo percorso nelle zone più oscure della psiche umana, per raccontare personaggi estremi, con un linguaggio fatto di immagini che ci colpiscono a fondo e che ci lasciano profondamente a disagio. Nessuno come Ridley, infatti, sa cogliere il dolore, la violenza e la miseria umana. Nessuno come Ridley ha la capacità di distruggere nello spettatore ogni certezza di benessere e l’idea stessa che nel mondo “tutto va bene”.

Carlo Emilio Lerici torna per la quarta volta a misurarsi con Ridley, dopo il successo ottenuto con “Mercury Fur”, “Vincent River” e “Moonfleece”.

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16 / 17 novembre

IT, WOUND, KILLER, NOW

4 monologhi di Philip Ridley

traduzione Natalia di Giammarco

Con Alice Arcuri, Michele Maganza, Luca Catello Sannino

Messa in scena di Luca Fiamenghi

un progetto ideato da Carlo Emilio Lerici

produzione Trilly

Non c’è nessuno, nel teatro contemporaneo, che sappia raccontare con così tante sfumature i soli, i perdenti, i sognatori, i malati d’amore, le minoranze e i feriti. Nessuno se non Philip Ridley.

Uno spettacolo corto, il nostro, ma intenso, che vuole essere un omaggio a lui e al teatro inglese in generale, sempre fonte di grandi storie, intense, crude, vere. 4 monologhi non particolarmente conosciuti, pubblicati proprio l’anno scorso, 4 personaggi deboli, ma che si sentono forti, doloranti ma che continuano a camminare. 4 situazioni pregne di emotività, di sogni, spaccati di vita che rappresentano i disagi della nostra società, senza mai farci la morale.

Questo è il bello di Ridley. Ci lascia guardare, come alla finestra, e non giudica. Ci presenta la solitudine e ci lascia pensare. Sta a noi farci trasportare, o no, da quello che ci viene raccontato.

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Gli Autori

Owen McCafferty- Nato a Belfast, Irlanda del Nord, nel 1961. Ha fatto diversi lavori, tra cui funzionario, contabile, piastrellista e operaio in un mattatoio, prima di diventare uno scrittore a tempo pieno. Vive a Belfast.

Il suo testo Scenes from the Big Picture, prodotto nel 2003 al National Theatre di Londra, gli valse il Premio John Whiting, Charles Wintour Award Evening Standard per la Nuova Drammaturgia e il Meyer-Whitworth Award. Era la prima volta che un drammaturgo aveva vinto tutti e tre i premi in un anno.

La scrittura di McCafferty utilizza le caratteristiche della lingua e e la ricchezza, sia comica che tragica, della vita di Belfast. Come Synge, il dialogo di McCafferty è molto stilizzato e il suo vocabolario si arricchisce di strane commistioni e neologismi con i quali il senso di ciò che viene detto non è mai perduto.

Duncan Macmillan. Scrittore e regista. Autore per Paines Plough e Royal Exchange Theatre, ha scritto per il teatro oltre a lavorare in radio, televisione e cinema.

I riconscimenti ottenuti includono Best New Play al Off West End Awards, 2013; il Big Ambition Award, Old Vic 2009; il Premio Pearson, 2008 e finalista nel JMK Direction Award 2010.

Duncan ha ottenuto anche due premi alla prima edizione del Bruntwood Playwriting Competition 2006 e il suo lavoro con il regista Katie Mitchell è stato selezionato per Theatertreffen e per il Festival di Avignone.

Penelope Skinner. arriva al successo con il testo Fucked presentato nel 2008 al Old Red Lion Theater e al Festival di Edimburgo. Successivamente i suoi testi vengono presentati a Londra, al Bush Theatre, National Theatre e al Royal Court Theatre, dove diventa membro del progetto dedicato ai giovani autori.

Con il testo Eigengrau in scena al Bush Theatre nel 2010, ottiene la nomination per l’Evening Standard Award nella categoria Most Promising Playwright.

Il testo The Village Bike, messo in scena al Royal Court Theatre, ha vinto il George Devine Award e l’Evening Standard Award nella categoria Most Promising Playwright nel 2011.

Successivamente ha scritto episodi per la serie di Channel 4 Fresh Meat. Nel 2011, il testo The Sound of Heavy Rain è stato prodotto allo Sheffield Theatres prima di andare in tour sponsorizzato da Paines Plough.

Il testo Fred’s Diner è stato messo in scena al Chichester Festival Theatre, dopo che il quotidiano Independent ha descritto la Skinner come “La più importante autrice giovane inglese”.

Nel 2013 Skinner partecipa alla scrittura della sceneggiatura del film How I Live Now.

Vicky Jones. Vicky è co-fondatore e co-direttore artistico della DryWrite, compagnia residente al Bush Theatre dal 2010 al 2012.

Ha diretto produzioni, insegnato e gestito laboratori per molte tra le migliori scuole di recitazione inglesi.

Come autrice, la sua prima commedia, THE ONE, ha vinto il 2013 Verity Bargate Award.

Charlotte Josephine Scrittrice e attrice. Il suo one-woman show Bitch Boxer ha vinto l’Old Vic New Voices a Edimburgo nel 2012, il Soho Theatre Young Writers Award 2012 e Holden Street Theatres Award 2013. Bitch Boxer è stato per due volte al Fringe Festival di Edimburgo e al Soho Theatre di Londra, per due stagioni in tour nazionali e ha partecipato al Adelaide Fringe Festival. La ricerca di Charlotte per il ruolo l’ha portata a diventare una vera appassionata di questo sport e ora gareggia per Islington Boxing Club.

Charlotte è co-direttore artistico del Snuff Box Theatre.

Charlotte è Hub Writer presso il Soho Theatre e partecipa al progetto Soho Six 2014.

Philip Ridley. E’ nato a Londra nel 1964, Ridley si è dimostrato subito un enfant prodige creando la sua prima compagnia teatrale all’età di sei anni e scrivendo il suo primo libro a sette. Nel frattempo dipinge e tiene la sua prima personale a 14 anni. A 17 anni si iscrive alla St. Martin’s School of Art dove studia pittura. Ma la scrittura diventa la sua attività principale: a tutt’oggi ha scritto numerosi libri, di cui alcuni per bambini, radiodrammi, sceneggiature cinematografiche e testi teatrali. Grazie a questo eclettismo Ridley si definisce un uomo del Rinascimento per l’età del multimediale.

Nel 1987 esordisce anche dietro la macchina da presa, girando i due cortometraggi “Visiting Mr. Beak” e “The Universe of Dermot Finn”.

Nel 1989 scrive “Gli occhi di Mr. Fury”, delicato racconto dalle assonanze gotiche e parabola sulla purezza dell’amore, tradotto in diverse lingue e diventato un piccolo fenomeno di culto. L’anno successivo entra nel vero e proprio circuito della distribuzione cinematografica scrivendo la sceneggiatura di The Krays, diretto dall’anglo-ungherese Peter Medak.

Sempre nel 1990 scrive e dirige un altro lungometraggio, “Riflessi sulla pelle” (titolo originale “The Reflecting Skin”), che lo fa conoscere a critica e pubblico cinematografico e gli vale undici fra premi e riconoscimenti internazionali, tra i quali il leopardo d’argento al Festival di Locarno.

Nel 1995 è la volta di “Sinistre ossessioni” (titolo originale “The Passion of Darkly Noon”), con Brendan Fraser, Ashley Judd e Viggo Mortensen (presente anche in “Riflessi sulla pelle”).

Oltre a Gli occhi di Mr. Fury, Ridley ha scritto altri due libri per adulti, Crocodilia e Flamingoes in Orbit, una decina di spettacoli teatrali per adulti, più innumerevoli racconti e spettacoli per ragazzi.

Nel 2009 Philip Ridley torna con “Heartless” che appare per la prima volta al “Film4 FrightFest” nel Regno Unito.

La sua poliedricità artistica si esprime infine in una florida, seppur non notissima attività fotografica e nel componimento di poesie. Ha inoltre co-scritto, con Nick Bicat, due canzoni presenti nella colonna sonora di Darkly Noon (Who Will Love Me Now, cantata da PJ Harvey, e Look What You’ve Done to my Skin, cantata da Gavin Friday).

Ridley è l’unico artista ad aver ricevuto sia il premio rivelazione per il cinema britannico sia il premio rivelazione per la Drammaturgia, promossi dall’Evening Standard.

TREND – Nuove frontiere della scena britannica

XIII edizione

Direzione Artistica: Rodolfo di Giammarco

Organizzazione Generale: Carlo Emilio Lerici

Orario spettacoli tutte le sere alle ore 21,00

Prezzi posto unico € 10

Informazioni e prenotazioni 06 5894875

Teatro Belli – piazza Sant’Apollonia, 11a – (trastevere)

La manifestazione è realizzata con il sostegno di

Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, Creatività Promozione Artistica

Dipartimento Cultura

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