è una performance teatrale rappresentata dal 24 al 25 Gennaio alle ore 11 e alle ore 15 al Museo della Resistenza, della Documentazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà, un museo non covenzionale, che sperimenta forme di comunicazione e linguaggi espositivi originali e innovativi. Ovviamente il tema è la deportazione e l’Olocausto e questi giorni di fine Gennaio sono dedicati proprio al tema della Memoria. Pensavamo ad uno spettacolo ricco di testimonianze, letture, filmati espliciti e coinvolgenti. Eravamo preparati a qualcosa di già visto e sentito, ed anche se a questi temi è impossibile abituarsi, inconsciamente sappiamo che hanno perso smalto e forza dirompente. Emozionanti ma sempre meno rispetto ai precedenti. Ed invece… L’appuntamento di inizio spettacolo è per le 15 al Museo, ed al telefono ci dicono (tre giorni prima) che ci sono solo 2 posti liberi, dopo tutto esaurito. Davanti al Museo c’è un piccolo gruppo di persone. Entriamo con loro. Ci vengono dati 2 biglietti da consegnare al 2° piano prima di pagare un biglietto (5 Euro che ti dà anche diritto ad una riduzione se desideri visitare il museo). Siamo leggermente in anticipo, davanti alla zona adibita all’entrata dello spettacolo è in attesa un gruppo di persone. Alle 15 in punto, l’addetto alla biglietteria ci zittisce in malo modo e subito dopo un attore vestito da prigioniero, addetto alla gestione dei nuovi arrivi ci impartisce ordini in tedesco di cui comprendiamo solo che ci dobbiamo muovere ed entrare in una stanza. Qui una Kapò, urlando verso ognuno di noi, ci indirizza a destra o a sinistra e comprendiamo subito che non sarà un’esperienza come le precedenti. Ci mettono una benda numerata al braccio, che ricordano i famigerati tatuaggi, ed ancora un’altra prigioniera con voce monotona ci chiede l’età, se abbiamo tatuaggi e denti d’oro. Ci dà anche un sacchetto con lo stesso numero che abbiamo al braccio, dobbiamo mettere dentro i nostri oggetti: portafogli, telefonino, occhiali e per questo motivo imparare a memoria il nostro numero se poi vorremo recuperarlo. Ed eccoci in un attimo piombati in quel clima surreale dove ci hanno diviso dai nostri cari, subito una selezione, spogliati dei nostri oggetti e privati di un nome, con un numero al suo posto. Assistiamo alle operazioni addossati ad un muro e siamo tutti stupiti ed anche un po’ spaventati quando ci urlano e ci spingono verso le “docce”. Si tratta di una tenda tipo Gazebo, e ci stiamo abbastanza stretti, siamo ammassati ed il caldo inizia a farsi sentire. Vengono proiettati filmati e fotografie che già conosciamo ma che in questa situazione assumono valori nuovi. Fuori sentiamo voci che raccontano storie vere di Lager con piccoli flash. L’aria inizia a farsi pesante quando arriva come una furia la Kapò di prima, ci spinge e ci strappa dalle mani qualche sacchetto, e subito dopo maltratta una prigioniera terrorizzata. Tutto questo dura poco meno di trenta minuti ma l’emozione è forte, e viviamo davvero, con i dovuti distinguo, un p0′ del terrore che ha dovuto subire chi ha provato questa terribile esperienza. Vengono proiettati anche esempi di come questa barbaria non sia terminata ma continui in altre parti del mondo. Proviamo sulla nostra pelle cosa significa essere ridotti in schiavitù e forse comprendiamo davvero risposte che ci erano apparse strane (perché non ci sono quasi mai state ribellioni, per esempio). Personalmente mi sono trovato a valutare i miei compagni ed osservandoli mi sono chiesto chi di noi sarebbe sopravvissuto se fosse stato tutto reale. Importante il rito finale: ognuno di noi ha ricevuto una foto ed una pietra ed uno per volta posiamo per terra la fotografia con la pietra sopra pronunciando la frase “Per non dimenticare”. Una sorta di impegno collettivo affinché si combatta la tendenza mondiale a dimenticare ciò che è stato. Significative le foto proiettate di scritte sui muri ma anche commenti pubblici ad eventi sportivi. C’è stato un lungo e convinto applauso al termine della performance. Il gruppo che l’ha proposta “La Compagnia Teatrale LONTANI DAL CENTRO” non è nuova a messe in scena originali e creative spesso destinate a 1, 2 o 4 spettatori perché “alla ricerca di una reale comunicazione con il pubblico ed al bisogno impellente di condividere il cammino”. Mi è sembrata un’esperienza importante, anche per capire come l’animo umano possa accettare alcune cose e rifiutarne altre, impensabili “per noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case”. Sicuramente da proporre nelle scuole, anche se è sconsigliata la visione ai minori di 16 anni.
con Compagnia Teatrale LONTANI DAL CENTRO (Fulvio Abbracciavento, Claudia Appiano, Eva Rossi, Fulvio Trivero, Angela Vuolo)