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“La gatta sul tetto che scotta” di Tennessee Williams

Foto di Fabio Lovino
Foto di Fabio Lovino

Vittoria Puccini è una silfide appartenente all’Elemento Aria per la sua figura alta ed esile e per quegli occhi chiari trasparenti, gelidi o dolci all’occorrenza.

Fantastica figura televisiva grazie alla tecnica dei primi piani e del fermo immagine su uno sguardo o su un’espressione del viso e grazie al difetto della televisione di arrotondare le forme, visivamente la Puccini ha minori chances in teatro, dove l’azione si svolge ad una certa distanza dal pubblico e i punti forti dell’attrice rimangono nell’ombra, a meno che il regista non applichi un sistema televisivo anche on stage, il costumista non metta in moto la sua fantasia creativa e il tecnico luci non sappia dove puntare i fari.

Al suo debutto a teatro nel ruolo di Maggie con La gatta sul tetto che scotta di Tennessee Williams, la Puccini non viene servita al meglio da costumista e regista: fisicamente è accentuata la sua magrezza con anonimi abiti vintage, tipo sottabitini lucidi e scialbi che non rendevano sexy neanche le nostre nonne (eppure il testo parla di forme che attirano l’attenzione degli uomini), stretti tubini midi che imbruttiscono e appesantiscono qualsiasi figura (già quando lo tira un po’ su sopra il ginocchio l’effetto è di grande leggerezza), e con i capelli lisci e scuri che incupiscono il volto apparentemente senza trucco. Irriconoscibile all’inizio. Infatti, dopo un po’ che battibeccava col marito indifferente, ci siamo domandati “Ma quando esce la Puccini? Che parte fa?” Non avevamo ritrovato in quel viso piccolo e spento l’incarnato morbido di Elisa di Rivombrosa e il lampo azzurro di quegli occhi un po’ spaesati e un po’ ammaliatori.

Foto di Fabio Lovino
Foto di Fabio Lovino

Per accentuare il fascino femminile, richiesto dal testo, meglio sarebbe presentarla con una bella capigliatura mossa e mesciata e abiti di lusso più adatti alla sua figura (già quello verde che indossa all’inizio e che si toglie subito perché macchiato è un po’ meglio, stretto in vita, con gonna ampia fino al ginocchio, anche se miserello), e, per riportare nella coppia la carica erotica, dovrebbe mostrarsi con indumenti sexy in camera da letto, altrimenti come lo smuove quel marito apatico e distratto, costantemente attaccato alla bottiglia? Deve fare la gatta in ogni senso.

Più animale televisivo che di palcoscenico, anche sul piano della recitazione la Puccini è poco convincente specialmente nelle scene di seduzione: la voce non è teatrale, è stimbrata, afona (forse perché aveva recitato due giorni prima), senza spessore e non passa, nonostante sia costantemente spinta, la recitazione è monocorde e querula nelle interminabili lamentele femminili, neanche ricordando i momenti d’amore la voce si addolcisce, eppure il testo è ricco, basta scavare e incidere sulla parola, e allora anche la gestualità diventa più appropriata e aderente. Ma ci vuole studio e un bel lavoro di regia.

Per quasi tutti comunque l’uso del palcoscenico è lasciato all’improvvisazione, almeno così è sembrato. La regia di Arturo Cirillo è piuttosto generica, tutti fuggono qua e là e spesso i due protagonisti sono in balia di se stessi. Visto che lei parla in continuazione, solo a tratti è interrotta da qualche mugugno di lui, il regista dovrebbe inventare qualcosa per non lasciare i due in piedi in mezzo al palcoscenico, lui fermo su un piede e una stampella o zoppicante nei pochi movimenti, lei camminare avanti e indietro senza senso e il tecnico luci dovrebbe giocare un ruolo più importante.

Il teatro richiede in diretta padronanza della scena e della parola, timbro vocale sonoro, fluidità della recitazione, credibilità nel ruolo e comunicativa. Queste qualità le abbiamo trovate nel protagonista maschile, Vinicio Marchioni, Brick il marito attratto più dalla bottiglia che dalla moglie, non si sa se perché stanco della routine o perché inconsciamente ancora legato ad un amico scomparso. L’attore, costretto a muoversi saltellando su un solo piede appoggiandosi ad una stampella (il testo prevede la rottura di un piede), dà prova di grande equilibrio e resistenza, ha voce teatrale sonora che passa e comunica, incisività della parola e quando alza il volume gli armonici si diffondono in sala.

Foto di Fabio Lovino
Foto di Fabio Lovino

Questa coppia senza figli si trova a confrontarsi con l’altra coppia che ha quasi 5 figli, formata dal fratello di lei Gooper, un rampante avvocato in attesa dell’eredità paterna, sposato con l’arrogante e falsa Mae, con una madre superossessiva e inerme e un padre morente aggressivo con tutti, nonostante le attenzioni a lui riservate nel giorno del suo (forse ultimo) compleanno.

Clio Cipolletta con un rigido abito rosso svasato incarna una puntuta e altezzosa Mae, Francesco Petruzzelli è il machiavellico marito Gooper; molto espressiva è Franca Penone in tailleur nel ruolo della madre ipercinetica un po’ schizzata, un po’ succube, padrone del palcoscenico e della parola Paolo Musio è il padre padrone aggressivo e sempre urlante sopra le righe, Salvatore Caruso è un composto reverendo Tooker e uno spaesato dottor Baugh.

Le scene semplici e concrete di un interno con un letto e un divano sono di Dario Gessati, i brutti costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Pasquale Mari e le musiche di Francesco De Melis.

Lo spettacolo è prodotto dalla compagnia Gli Ipocriti.

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