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L’elisir d’amore

Foto di Michele Crosera
Foto di Michele Crosera

Melodramma giocoso in due atti

Libretto di Felice Romani

Musica di Gaetano Donizetti

Personaggi e interpreti:

Adina: Mihaela Marcu

Nemorino: Giorgio Misseri

Belcore: Alessandro Luongo

Il dottor Dulcamara: Carlo Lepore

Giannetta: Arianna Donadelli

Direttore: Omer Meir Wellber

Regia: Bepi Morassi

Scene e costumi: Gianmaurizio Fercioni

Light designer: Vilmo Furian

Movimenti coreografici: Barbara Pessina

Orchestra e Coro del Teatro la Fenice

Maestro del Coro: Claudio Marino Moretti

Maestro al fortepiano: Maria Cristina Vavolo

Allestimento Fondazione Teatro La Fenice

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Di filtri, fatture e incantesimi erotici è piena la civiltà – Circe, Medea, Tristano e Isotta, Romeo e Giulietta… Elisir si inserisce in questo ambito con le sue peculiarità musicali. Trovandosi a Milano, fu chiesta a Donizetti dall’impresario Alessandro Lanari un’opera comica per la stagione 1832 del Teatro della Canobbiana. Mancando, come è accaduto sovente nella storia della musica, il tempo utile a redigere un testo originale, il librettista Felice Romani tradusse quasi alla lettera Le philtre di Eugène Scribe, già musicato nel 1831 da François-Esprit Auber. Donizetti scrisse velocemente la partitura che strizza l’occhio a Rossini, ma non lo copia.

L’allestimento del Teatro La Fenice è oramai un evergreen. La regia di Bepi Morassi è, ancora una volta, metateatrale, desiderosa di giocare con le quinte e i fondali dipinti. Non mancano una buona caratterizzazione gestuale dei personaggi, le classiche mossette da varietà e l’uso divertito delle masse. Tutto aspira a un antico modo di fare spettacolo, alla maniera dei cantastorie girovaghi ormai estinti, con le tele e i palchi improvvisati, all’insegna di una tradizione da teatrino di marionette, di quelli che si trovano custoditi gelosamente nelle soffitte delle nonne. Le scene e i costumi di Gianmaurizio Fercioni si piegano alle volontà registiche, ritrovando nel legno nudo e nei tessuti variamente ricamati i simboli di una piacevole semplicità.

Il cast merita di essere sentito. Trionfa Mihaela Marcu, una vera prima donna in forma smagliante. Eccezionale la sua Adina spigliata, maliziosa, innamorata e pure disinibita. La voce è omogenea, sicura nelle agilità, incantevole nel duetto Chiedi all’aura lusinghiera e pirotecnica in Il mio rigor dimentica. Strappa sempre gli applausi degli spettatori, in visibilio per cotanta “scenica scienza” direbbe Tosca. Alessandro Luongo è un Belcore aitante e gigione, ben reso sia dal corpo che dalla voce. Il dottor Dulcamara di Carlo Lepore, “cornuto” per via della parrucca rossa, è il mattatore del palcoscenico. Giorgio Misseri, seppur privo di uno strumento potente, riesce meglio in Nemorino che nel Conte del Barbiere dello scorso anno, tanto che l’impervia Una furtiva lagrima, contro ogni aspettativa, è risolta ottimamente. Graziosa e corretta la Giannetta di Arianna Donadelli.

Buona la prestazione del coro, preparato dal maestro Claudio Marino Moretti.

Omar Meir Welber dirige con una carica comica e vitale ove trova spazio anche il pathos, in quel voluto alternarsi donizettiano di romanticismo e commedia, fatto di peso e leggerezza, che lo distingue da Rossini. Suggestivi si presentano i colori cavati fuori dai legni e dagli ottoni, briosi quelli degli archi, a formare una tavolozza cromatica assai variopinta e adatta al Carnevale.

Applausi entusiasti e successo collettivo, con ovazioni ampiamente meritate per Marcu, Luongo e Lepore. Si segnala con immenso piacere la presenza alla recita del 7 febbraio di un folto pubblico di ragazzini emozionati, segnale che è ancora possibile avvicinare le nuove generazioni all’opera.

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