Torna L’Elisir d’amore di Donizetti con l’originale allestimento, in versione ridotta, di Saverio Marconi, ideato nel 2002 per lo Sferisterio di Macerata
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Posizionare l’orchestra in palcoscenico è un bel risparmio, perché si elimina la scenografia e in tempi di crisi è una buona scelta. Certo si riduce lo spazio per l’azione scenica, ma il regista Saverio Marconi, che aveva attuato questa sua idea allo Sferisterio di Macerata nel 2002, seppur con spazi più ampi, ha dilatato lo spazio scenico coprendo il golfo mistico, facendo entrare gli artisti dalla platea e portando l’azione anche in mezzo agli orchestrali. Ne hanno risentito certo le scene corali, col coro ridotto e ammassato sul boccascena o ai lati, inoltre, non potendo sfruttare la profondità del palcoscenico gli ingressi hanno avuto un impatto meno diretto sul pubblico, l’azione si è svolta nei pochi metri liberi e i cantanti, in piedi o seduti sull’orlo del palcoscenico, interloquivano più col pubblico che con i loro diretti interlocutori, come si fa nei concerti. Così sembrava che, mossi da ritrosia, preferissero comunicare al pubblico le loro emozioni. Beh, non è male.
Era ridotto anche il “personale” di Belcore, arrivato con quattro militari e una bandiera tricolore, erano ridottissimi gli arredi, giusto qualche panchetto, qualche tavolo e qualche baule, portati e tolti a vista da inservienti in costume per le diverse scene. Comunque la soluzione è stata gradevole, perché ci ha fatto entrare in un clima familiare con gli artisti a distanza ravvicinata, anche se elementi decorativi di carattere campestre, almeno proiettati, avrebbero restituito il clima bucolico proprio dell’opera.
A Macerata era stato fatto, ma anche la presentazione era stata più fiabesca con quella grande scatola rossa che aprendosi verticalmente ha lasciato comparire l’orchestra e che a noi spettatori ha fatto esclamare “OHHHHHHH!!!”. E allora era plausibile parlare anche dello scenografo. Al teatro della Fortuna di Fano si è andati più per le spicce e si è presentato direttamente il contenuto della scatola, inizialmente nascosta dietro un originale sipario istoriato a tema. Invece non ho capito perché Adina si è tolta scarpe e calze mentre parlava con Nemorino.
Il regista ha fatto quel che ha potuto, raggruppando in maniera pittorica il coro femminile sia attorno ad Adina che attorno a Nemorino, facendo camminare Dulcamara sopra i bauli e sopra il pianoforte, facendo sedere sul pianoforte sia Adina che Dulcamara, ha mantenuto il ritmo e la vivacità, ha presentato i personaggi nelle loro specificità sottolineandone l’aspetto giovanile. Simpatica l’idea di dare a tutti i paesani una fiaschetta rossa e più tardi a Nemorino, non soddisfatto della prima bottiglietta, una botticella di elisir, bellissimo lo sciame delle donne dietro Nemorino dopo la notizia dell’eredità, ottimo sfruttare l’agilità e
la professionalità di Andrea Concetti per presentare un Dulcamara saltimbanco ed istrione, un personaggio dominante attorno al quale giravano le vite di questi paesani creduloni. Dominante anche sul piano vocale, perché con “Udite o rustici” si è saltati di colpo al livello superiore. La voce di Andrea Concetti ha colore bellissimo e pasta morbida, è estesa e timbrata in tutti i registri, con gravi poderosi, suoni rotondi e magnificamente dosati, slanci acuti in maschera e mai sparati, come invece spesso fanno gli altri cantanti, è duttile e agilissima nel sillabato veloce del basso buffo e nel “recitar cantando”. Alla perfetta tecnica di canto si aggiunge la dizione chiara. Magnifico sul piano attoriale, il suo Dulcamara, pur essendo un imbroglione, è sempre un signore.
Concetti ha raggiunto la maturità artistica e vocale per affrontare ruoli seri e per essere un intenso Filippo II.
Bravo Antonio Poli, un Nemorino ingenuo e paffutello che si è imposto per bella gettata di voce, sicurezza d’emissione, voce ampia e limpida di tenore lirico, buon sostegno del fiato anche nei suoni smorzati (“Esulti pur la barbara”), voce robusta che sa piegare al canto patetico (“Adina credimi”), e modulare in modo espressivo nell’esternazione dei sentimenti (“Una furtiva lacrima” che ha attaccato piano sopra un’orchestra delicata, alternando poi suoni robusti a mezze voci e a filati, cantando sul fiato).
Molto carina l’Adina di Mihaela Marcu, un soprano dalla bella voce, che ha iniziato con suoni un po’ gonfiati ed esplosivi, bassi vuoti e vocali strette (“Della crudele Isotta”), ma poi ha cantato in modo aggraziato, con suoni belli, acuti che fendono le orecchie, trilli robusti, l’attrice è stata graziosa e frizzante, la cantante ha modulato bene la voce nella bellissima aria coi pizzicati dei violini e con cabaletta pirotecnica “Prendi per me sei libero”, ma la dizione era precaria.
Un po’ sopra le righe il Belcore di Bruno Taddia, che, padrone del palcoscenico, ha delineato un Belcore più cattivo che spaccone, vocalmente ha bel colore e bella tenuta delle arcate, fiati lunghi accento troppo scandito (“Come Paride vezzoso”). Esagerato nella gestualità e nell’emissione, in qualche tratto ha perso la giusta intonazione.
Giannetta è stata interpretata da Sara De Flaviis, soprano dalla voce pulita e scintillante con un leggero vibrato.
Morbide e gradevoli le pagine corali, specialmente quelle che si sposano con i terzetti e i quartetti. Il Coro del Teatro della Fortuna “M. Agostini”, preparato con scrupolo dal M° Mirca Rosciani, è entrato con precisione nel ritmo giocoso dei concertati e nella delicatezza delle pagine elegiache, gradevole anche sul versante visivo per gli abiti chiari di foggia campagnola, il cappello di paglia di alcuni, l’atteggiamento teatrale, il Coro non ha potuto disegnare figure sceniche specifiche per mancanza di spazio, quindi si è persa l’atmosfera campestre che caratterizza l’opera.
Si è notato qualche rallentamento iniziale e qualche sonorità eccessiva nella FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, diretta dal M° Francesco Lanzillotta, ma nel complesso la prestazione è stata buona.
Un pianoforte al centro del palcoscenico, alle spalle del direttore, era suonato durante i recitativi dal M° Cesarina Compagnoni, in costume di scena e punto di appoggio per i “lai” dei protagonisti.
La coordinazione musicale era affidata ad alcuni monitor visibili agli artisti.
I costumi freschi e luminosi, più colorati quelli di Dulcamara e di Belcore, erano di Carla Accoramboni, le scene, che non c’erano, di Gabriele Moreschi, le luci di Valerio Tiberi.
Lo spettacolo si allestirà anche nei teatri che fanno parte della nuova Rete Lirica delle Marche, formata dal Teatro della Fortuna di Fano, il Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno e il Teatro dell’Aquila di Fermo.
I sei Elisir di Fano.
Dal 1956 ad oggi quella di quest’anno è la settima edizione de L’Elisir d’amore di Donizetti a Fano.
Le prime quattro furono allestite alla Corte Malatestiana ed ebbero nel cast noti artisti italiani ma anche cantanti fanesi: nel 1956 Adina e Belcore furono interpretati dai fanesi Anna Bianca Meletti e Saturno Meletti, nel 1964 Adina fu la grande Elvidia Ferracuti, nel 1983 la giovane fanese Patrizia Orciani vestì i panni di Adina, nel 1991 Pietro Ballo delineò un Nemorino da manuale, Maurizio Picconi fu un Dulcamara di grande levatura e sul podio c’era un giovane maestro che ha fatto le sue prime esperienze a Fano, Marcello Rota. Le ultime tre sono state allestite al Teatro della Fortuna. Nel 2006 c’è stato un allestimento speciale, che non entrerà mai negli annali del teatro nel capitolo “Opere liriche”, perché era un’edizione ridotta, intitolata “Ecco il magico elisir ”, cantata e recitata dai Piccoli Cantori di Gio’, coro di voci bianche formatosi a Fano su progetto dell’Associazione Musicale Mario Tiberini. Nel 2007 ha avuto due grandi interpreti in Bruno Praticò e Luca Canonici, entrambi insigniti del Premio Tiberini d’oro, rispettivamente nel 1999 e nel 2005. Nel 2015 l’edizione attuale.