Zápisník zmizelého (Il diario di uno scomparso)
Testo di Ozef Kalda
Musica di Leoš Janáček
Personaggi e interpreti:
Jan: Leonardo Cortellazzi
Zefka: Angela Nicoli
Tre donne: Emanuela Conti, Marta Codognola, Paola Rossi
Mimo: Francesco Bortolozzo
Pianoforte: Claudio Marino Moretti
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La voix humaine (La voce umana)
Tragèdie lyrique in un atto FP 171
Libretto di Jean Cocteau, dall’omonima pièce teatrale
Musica di Francis Poulenc
Personaggi e interpreti
Lei: Ángeles Blancas Gulín
Mimo: Francesco Bortolozzo
Maestro concertatore e direttore: Francesco Lanzillotta
Orchestra del Teatro La Fenice
Regia: Gianmaria Aliverta
Scene: Massimo Checchetto
Costumi: Carlos Tieppo
Light designer: Fabio Barettin
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
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Bisogna riconoscere al Teatro La Fenice il pregio di inserire sempre in cartellone titoli contemporanei, in modo da alimentare il necessario dibattito sul tema. Dopo La porta della legge di Sciarrino, circa un anno fa, è la volta di Zápisník zmizelého di Janáček e La voix humaine di Poulenc unite a dittico. Gianmaria Aliverta interpreta il Diario come prologo alla Voix, “dramma borghese da camera” connotato da forti tinte queer. La nuova tragedia si svolge in uno spazio, ideato da Massimo Checchetto e ben illuminato dal light designer Fabio Barettin, composto da due ambienti, camera da letto e salotto prima, astanteria e obitorio poi: Jan (il bravo mimo Francesco Bortolozzo) abbandona Lei per la zingara errante Zefka rimettendoci la vita. La misera uxoricida delira, parla al cellulare e gli unici fili che l’attanagliano sono quelli del carica batteria e della flebo. Giunta allo stremo psichico, riviste le ombre dell’amato e della gitana, si suicida. Zápisník zmizelého, apparente Liederzyklus per voci e pianoforte ma con annotazioni drammaturgiche in partitura che paiono denunciarne la natura teatrale, si tramuta nelle intenzioni del regista in un middle-class drama cozzante con il carattere bucolico delle liriche, e la Voix in un telefono che dall’altro capo suona a vuoto. Se i lavori esprimono reazioni maschili e femminili al turbamento erotico, queste avrebbero potuto risaltare di più se trattate separatamente, svincolate da un fil rouge. D’altronde, Cocteau non lascia scampo all’interpretazione, fornendo la prefazione e la descrizione dettagliata della scena antecedenti al testo già ampi spunti su cui innovare senza stravolgere.
Ottima la parte musicale. Leonardo Cortellazzi è il commissario che indaga sulla scomparsa di Jan, leggendone il diario. L’interpretazione è ottima, il fraseggio si colora di tinte tormentate fino a stemperarsi in un’esaltata limpidezza, mano a mano che l’enigma si scioglie. Cortellazzi affronta assai bene il declamato melodico, spesso spinto dal compositore verso il registro acuto, dimostrandosi così versatile non solo nel repertorio classico, ma anche in quello novecentesco. A Angela Nicoli, Zefka maliarda e provocante, spettano le discese al grave, quasi a descrivere una pitonessa costrittrice e letale. Il suo è un canto vellutato, calibrato, insinuante e ipnotico, da creatura infernale o spirito della foresta.
Piuttosto lontane le tre voci femminili di Emanuela Conti, Marta Codognola e Paola Rossi.
Al pianoforte, unico strumento richiesto dal Diario, Claudio Marino Moretti adotta un pianismo cristallino, morbido e ove prescritto fortemente percussivo, rievocante i fremiti erotici.
Ne La voix humaine Ángeles Blancas Gulín ritrae un’Elle ossessionata e vaneggiante, credibile sia sul piano drammatico che vocale, sebbene non un pizzico di varietà in più nel fraseggio l’avrebbe resa sublime.
Francesco Lanzillotta, alla guida di una brillante Orchestra che si dimostra sempre più versata per il contemporaneo, rende la partitura di Poulenc compendiaria, scegliendo dinamiche serrate, ritmi spingenti e colori sordi. La sua è una direzione in punta di coltello, tanto da far camminare il canto di Elle sui cocci aguzzi di qualche ipotetica bottiglia finita in frantumi sul pavimento della camera.
Applausi di gradimento per tutti da parte del pubblico non nutritissimo, perché, si sa, a teatro Barocco e Contemporaneo spaventano ancora.