Emilio Solfrizzi è lo sbadatamente impettito, irreparabilmente bugiardo, sgangheratamente pugliese monsieur Molineaux di Valerio Binasco, che porta alla Pergola un pezzo di Feydeau che mancava, mischiando la vaudeville alla commedia all’italiana. Un dottore passa la notte fuori casa e, scoperto dalla moglie, è costretto ad affittare da un conoscente un appartamento dove coltivare le sue intime simpatie extraconiugali. Il mezzanino ben arredato in questione, occupato fino a poco tempo prima da una sarta, diventa un campo minato di fraintendimenti e menzogne, rivelazioni e battibecchi, e tra una fodera e un merletto ognuno si cuce addosso il personaggio che vuole apparire: il bravo marito, l’amante, il sarto…
“C’è una poesia tutta speciale, nell’arte di far ridere. Ed è la poesia dei ‘caratteri’. Dell’umanità stramba.” Così Binasco si esprime sulle maschere di Feydeau, più sfuggenti di quelle goldoniane, più leggere di quelle pirandelliane, ma anch’esse rappresentazione ironica e cruda di una classe sociale ben calata nell’epoca in cui vive, protagonista di un teatro che è anche vivace fonte storica. La descrizione caricaturale di una borghesia che si biforca tra un profondo moralismo di facciata e una sfacciata superficialità di fondo è la chiave comica di tutta la commedia. Centrotrenta anni dopo la prima assoluta, Sarto per signora non ha bisogno di alcuna attualizzazione e appare sovrabbondante anche la scelta della caratterizzazione dialettale di ogni personaggio, che, se aggiunge sicurezza linguistica agli interpreti, fa perdere di verosimiglianza i dialoghi.
Il ritmo dello spettacolo è scandito dalle frequenti e imbarazzanti entrate di personaggi inattesi, in un progetto scenico che introduce un atipico elemento fondamentale: tante, sbattute, sbagliate, rotte, usate come scudi, le porte consentono l’intreccio di trama e di movimenti, contribuendo all’instabilità che regna sovrana: ogni personaggio cammina in bilico sulla propria reputazione, soggetto agli spintoni di ogni bugia. Goffo nel suo destreggiarsi tra le frottole e gli equivoci, Solfrizzi è un fenomenale Molineaux, circondato da un gruppo di attori impeccabili, tra cui spiccano le interpretazioni della squillante suocera Anita Bartolucci e dell’ingenuo Bassinet Fabrizio Contri, che cerca invano di raccontare l’unica storia attendibile della serata.
In Sarto per signora si ride compostamente e ci si stupisce con garbo, alla francese, si riflette su ciò che è cambiato e su ciò che è rimasto uguale, magari con qualche toppa che copra lo spazio di tempo, e alla fine si applaude con gusto, spontaneamente, per minuti e minuti, alla riuscita di uno spettacolo travolgente e al lieto fine che, giusto o no, accontenta sempre tutti.