venerdì, Marzo 29, 2024

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Quello che le donne non dicono

fotoIn certi momenti ci si accorge che il compito di recensire lungi dall’essere un piacere e una soddisfazione gioiosa rappresenta a volte una prova ardua e faticosa se si è in presenza di spettacoli dal valido testo mal resi da una regia e da attori non all’altezza della situazione o viceversa di testi faticosi e un po’ pretenziosi interpretati da attori meravigliosi.

È quest’ultimo il caso dello spettacolo Quello che le donne non dicono, testo teatrale finalista al concorso di drammaturgia Per voce sola 2014 presso il Teatro della Tosse di Genova e rappresentato anche all’estero. Scritta da Fabio Banfo (Vercelli 1975) che ha studiato recitazione alla Scuola Paolo Grassi di Milano, la pièce ha come sottotitolo Lady Macbeth Vs Ophelia riferimento, come sostiene l’autore, a un “impossibile incontro tra questi due personaggi femminili dell’universo shakespeariano” significato dalla preposizione versus (abbreviato in Vs) con il significato di ‘contro’.

La presenza concomitante di bene e male all’interno di ciascuno, maschio o femmina che sia, non può che essere altrimenti essendo propria di ogni essere umano: il tema del ‘doppio’ è da sempre oggetto di appassionata analisi da parte dell’umanità che lo ha sceverato in infiniti e affascinanti modi.

Questa volta tocca alle donne e precisamente a una donna di cui sono evidenziate due personalità che sembrano correre su rette parallele, portate in scena dalle bravissime Monica Faggiani e Debora Mancini, veramente eccezionali nel rendere la psiche disturbata di una persona che racconta a una confidente (reale o immaginaria che sia) sofferenze e incomprensioni che segnano una vita difficile: una volta in modo più dolce, ma non per questo meno inquietante e l’altra in maniera più violenta e aggressiva e quindi più omogenea ai disturbi di cui soffre.

Tali splendide recitazioni senz’altro ben dirette dallo stesso autore che è anche regista sembrano rimanere fine a se stesse e non incidere o lasciare segni durevoli a causa della lunghezza di alcune scene e dell’astrusità di certi passaggi del testo che ingenerano un senso di perplessità, la rituale domanda cui prodest e il dubbio se Banfo sia partito da una situazione conosciuta oppure se si tratti di un mero esercizio intellettuale come tutta la simbologia di maschere presenti (che ricordano un po’ De Chirico) potrebbe lasciare supporre.

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