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Un dittico sul mito intramontabile di Medea per Bologna Modern

Andato il scena l’11 e il 12 ottobre al Teatro Comunale di Bologna

Foto di Rocco Casaluci

L’apertura della seconda edizione del Bologna Modern (Festival per le musiche contemporanee) è stata affidata quest’anno ad un dittico molto particolare, manifesto della volontà di coniugare tradizione e innovazione. Mission del festival promosso dal Teatro Comunale di Bologna in collaborazione con Musica Insieme infatti, quella di dare spazio ai diversi linguaggi che popolano la scena musicale oggi, accogliendoli in una prospettiva “plurale” invogliando non solo gli esperti del settore, ma anche gli appassionati ad accostarsi al festival con slancio e interesse, assicurato dall’ampio ventaglio di appuntamenti che miscelano generi, epoche e culture in cui è sempre la musica la protagonista, accompagnata però da altre nobili “compagne” quali il cinema, le arti visive, la poesia, l’architettura.

Ad aprire le danze al Teatro Comunale un dittico che ha in comune il mito a cui si ispira: Medea, figura archetipica, simbolo della furia vendicativa greca. L’antico monodramma del Settecento a lei dedicato dal compositore tedesco Georg Anton Benda (poco conosciuto ma di grande rilevanza per la sua epoca) fu apprezzato dal giovane Mozart, che ne disse “la musica è un recitativo, e la parola che si recita sullo sfondo musicale è di splendido effetto”. Caratteristica peculiare dell’opera diretta da Marco Angius è infatti la quasi assenza della dimensione canora a favore di un uso evocativo della parola ma scandito dalla musica. Composta da motivi ricorrenti presentati in diverse tonalità e tempi, la partitura musicale coinvolge la sfera psicologica, facendosi portatrice dei funesti eventi del libretto scritto da F.W. Gotter, che si rifaceva ad Euripide e Ovidio. La Medea di Benda ha in sé tutto il furore della donna tradita e amareggiata che progetta la vendetta tanto crudele quanto desiderata. A vestire i suoi panni l’attrice Salome Kammer, lodevole per la sua carica interpretativa visibile dai primi piani delle immagini proiettate su un grande schermo, scelta registica dell’australiana Pamela Hunter.

Foto di Rocco Casaluci

Seconda opera del dittico, diametralmente opposta alla prima per dimensione spazio temporale e musicale, Medeamaterial del compositore francese Pascal Dusapin, considerato uno dei massimi autori di oggi. Per la prima volta in Italia, l’opera si basa sul testo del grande drammaturgo e regista tedesco Heiner Muller. Il mito viene trasposto nelle tensioni della vita di oggi, la donna è rinchiusa in un ospedale psichiatrico dal quale sente la voce di Giasone come da lontano, estraniata dal mondo in una dimensione onirica dove le uniche presenze concrete sono quattro “infermieri”(quartetto vocale), alterego della sua coscienza. La dimensione musicale, punteggiata dagli echi del coro, è lo specchio dell’alterazione psichica che vive Medea, interpretata da Piia Komsi, soprano di coloritura come si suol dire; la particolarità dell’interpretazione canora è dovuta a picchi di colore e lunghi melismi che fanno di tutta l’opera un esteso lamento senza via d’uscita.

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