martedì, Marzo 19, 2024

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Teatro dell’Opera di Roma, “Billy Budd” di Britten diventa un kolossal

A Roma l’allestimento premiato con l’International Opera Award, un kolossal con l’anima con la regia della Warner, Conlon sul podio. Repliche fino al 15 maggio

Foto di Yasuko Kageyama

Non è un caso che il Billy Budd di Benjamin Britten con la regia di Deborah Warner sia stato premiato come nuova produzione del prestigioso International Opera Award: mica facile portare in scena il romanzo di Melville, ma la regista inglese appassionata di Shakespeare è riuscita a forgiare uno spettacolo che sa di kolossal, una sontuosa coproduzione realizzata dal teatro capitolino in collaborazione con il Teatro Real di Madrid e la Royal Opera House di Londra.

Un kolossal di grandi proporzioni, sì, ma con l’anima: meglio non lasciarsi scappare l’occasione di assistere al Billy Budd della Warner adesso in scena al Teatro dell’Opera di Roma che ospita per la prima volta quest’opera tutta al maschile di Britten del 1951 e qui diretta da una donna.

Tanti gli applausi del pubblico in occasione della prima per un affresco grandioso che rievoca le atmosfere di Melville (su libretto di Edward M. Foster con Eric Crozier), ma senza tradire il dramma dei tre personaggi sulla Indomitable, la nave da guerra inglese di fine Settecento.

La scena di Michael Levine è al tempo stesso fortemente evocativa, ma concreta: non c’è nessuna nave realmente riprodotta in scena perché siamo direttamente sulla nave efficacemente evocata attraverso corde, maestose vele, e via via il pubblico viene immerso negli spazi della Indomitable, nel ponte che ondeggia, nella stiva svelata attraverso un piano mobile, nelle cabine degli ufficiali, fra le onde del mare con l’acqua che viene percepita di continuo.

Ma se da un parte resta intatta la maestosità e la grandiosità del mare e degli spazi immensi, dall’altra il clima è fortemente claustrofobico a incrementare l’atmosfera del pericolo e dell’ammutinamento che serpeggia sulla nave magnificamente illuminata da Jean Kalman, un microcosmo che viene riprodotto anche a livello umano (con velati riferimenti omoerotici).

In un cast solo ed esclusivamente maschile senza possibilità di contrasto con voci femminili, prende vita quella che di fatto è un’ambigua parabola in bilico fra bene e male che vede coinvolti i tre personaggi principali, Claggart, maestro darmi simbolo della malvagità interpretato da John Relyea, il capitano Vere, Toby Spence, simbolo del bene, il giovane marinaio Billy Budd, interpretato da Philip Addis, vittima di Claggart: tre grandi voci che mostrano tutta la complessità della natura umana, attraverso la stratificazione dei livelli interpretativi ad animare un allestimento grandioso, ma emozionante. Il ritmo narrativo è sempre altissimo e la Warner è abile e molto intelligente nel gestire i numerosi personaggi in scena (anche 100 in alcuni momenti), mostrando la totale dimestichezza con il teatro di prosa e l’analogia, sottolineata, dei personaggi con la profondità di Shakespeare.

Se l’allestimento è quasi epico, tutto viene ulteriormente sottolineato dalla partitura difficile e carica di tensione di Britten che è sempre incalzante e misteriosa, quasi composta tutta di dialoghi, fra cori (diretti da Roberto Gabbiani) che arrivano da lontano, potenti momenti sinfonici: il clima oppressivo e di tensione che finisce per avvolgere i personaggi viene ben sottolineato dalla direzione efficace e mai compiaciuta di James Conlon al suo terzo Britten a Roma.

Uno spettacolo da non perdere, mai visto a Roma in un allestimento bellissimo, che va in scena ancora stasera, giovedì 10 maggio (ore 20), sabato 12 (ore 18), domenica 13 (ore 16.30) e martedì 15 (ore 20). Info su operaroma.it.

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