La Scala propone un titolo assente da ormai venti anni confezionando una produzione che sarà in lizza per la maggior parte delle categorie di premi per l’opera di quest’anno, in primis l’Abbiati.
Restituisce un titolo scegliendo il direttore più indicato per il repertorio russo, Valery Gergiev, che sa aggiungere oltre alla sua incontrastata carica musicale quel plus magistrale di chi, come nel suo caso, è strettamente legato ad un titolo o ad un autore.
Ne emerge una lettura profonda, costantemente presente alla fruizione scenica ma contemporaneamente ben delineata nelle intenzioni musicali, in cui non sono solo i suoni a fare spettacolo ma lo sono principalmente quei silenzi, lasciati a corrodere lo spettacolo fra un numero e l’altro.
Ne preferisce, come ormai di consueto, l’orchestrazione di Šostakovič (Musorgskij non completò il secondo e quinto quadro e non orchestrò la maggior parte della musica lasciando ad altri compositori il compito) con l’eccezione del finale, privo di una vera conclusione (che fosse sostakoviciana o stravinskiana) ma di ottima sinergia con le intenzioni registiche.
La controparte corale, guidata come di consueto dal lavoro encomiabile di Bruno Casoni, risulta la protagonista effettiva dell’intera opera. Il popolo russo egregiamente impersonificato dalle coriste e dai coristi della Scala spicca per presenza scenica e per un buon lavoro sulla pronuncia russa, forse scoglio principale per la sempre ottima compagine scaligera.
Infine la prova registica di Mario Martone.
Seguendo quella deriva ormai comune di ambientare in futuri distopici lo svolgere dell’opera, che personalmente apprezzo quantomeno per il tentativo di dare nuova linfa alle produzioni, Martone pone la scena in una Russia post-bellica fra rovine e vestigia di passati più gloriosi (scene di Margherita Palli).
Il regista inserisce numerose contro-scene a sottolineatura della azione principale quasi a fare da sottotitolo al testo non facilmente intellegibile (ma esclusivamente per la poca conoscenza della lingua russa).
Così ad esempio la scena della tentata violenza del principe Andrej nei confronti di Emma è raddoppiata da un tentativo di stupro sullo sfondo, anch’esso salvato dall’improvviso ingresso di Marfa (primo quadro).
Una regia molto pragmatica che non accetta tempi morti e per far ciò arriva, uniche pecche di una prova eccellente, a due momenti stucchevoli: la ripresa via telefonino del cadavere di Ivan Chovanskij da parte delle schiave persiane e la ripresa televisiva della decimazione dei prigionieri strel’cy.
Nonostante questo tutta l’azione scenica è apparsa di una coerenza intrinseca, come la conduzione musicale, priva di forzature e in cui pure le aggiunte squisitamente registiche ben figuravano nell’economia generale (la zarina accompagnata dai due giovani rampolli che scrutano senza mai commentare le miserie in scena)
Parlare in dettaglio del cast, dai numerosi ruoli, coperti tutti da invidiabili specialisti, allungherebbe eccessivamente questo scritto.
La loro prova è risultata ottimale proprio per quella capacità di creare un respiro unico con le intenzioni musicali e quelle registiche dando l’apparenza, o meglio la sostanza, che nulla fosse lasciato al caso.
Fra tutti elogi per la prova scenica di Mikhail Petrenko (Ivan) e per la presenza vocale di Ekaterina Semenchuk (Marfa).
Buono l’inserimento e la prova dei giovani interpreti dell’Accademia Teatro alla Scala. Una piccola parte che possa essere l’inizio di una brillante carriera per Maharram Huseynov, Lasha Sesitashvili, Sergei Ababkin, Eugenio di Lieto, Giorgi Lomiseli e Chuan Wang.
Tre ore di musica prive di momenti di stanca ma anzi costantemente coinvolgenti in cui solo il finale, un astro infuocato che sempre più si avvicina alla scena pronto a purificare con il fuoco ogni colpa (i più cinefili possono riconoscere la citazione da Lars von Trier, Melancholia), poteva ancora di più sfruttare l’apparato di animazione/grafica per una maggiore e forse più forte immedesimazione del pubblico.
Applausi prolungati per più di dieci minuti, dovuti anche al lungo cast, ma convinti da una prova di grande spessore di tutti gli interpreti coinvolti.
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Mercoledì 6 marzo, Teatro alla Scala, Milano
Chovanščina
Dramma in musica in cinque quadri
Libretto e Musica | Modest Petrovi
Musorgskij
Direttore | Valery Gergiev
Regia, | Mario Martone
Scene | Margherita Palli
Costumi | Ursula Patzak
Luci | Pasquale Mari
CORO e ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro | Bruno Casoni
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Personaggi ed interpreti principali
Principe Ivan Chovanskij | Mikhail Petrenko
Principe Andrej Chovanskij | Sergey Skorokhodov
Principe Golicyn | Evgeny Akimov
Saklovityi | Alexey Markov
Dosifej | Stanislav Trofimov
Marfa | Ekaterina Semenchuk
Susanna | Irina Vashchenko
Scrivano | Maxim Paster
Emma | Evgenia Muraveva