di Mattia Torre
scritto e diretto da Mattia Torre
con Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino, Carlo De Ruggieri
e con Giordano Agrusta
scene Francesco Ghisu
disegno luci Luca Barbati
costumi Mimma Montorselli
assistente alla regia Francesca Rocca
assistente ai movimenti scenici Alberto Bellandi
produzione Marta Morico, Alessandro Gaggiotti
organizzazione Emanuele Belfiore
MARCHE TEATRO / Nutrimenti Terrestri / Walsh
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Mattia Torre, uno degli autori più interessanti della scena contemporanea, ci presenta un dramma in chiave comica con un’accezione satirica violenta.
Un titolo enigmatico 456, che sarà svelato soltanto alla fine dello spettacolo, mettendo lo spettatore di fronte una prospettiva inaspettata: vivere soltanto in previsione della morte.
La storia è quella di una famiglia gretta e ignorante, che vive chiusa e isolata nel loro ambiente angusto, diffidando dal resto mondo. Massimo De Lorenzo il padre padrone, la moglie Cristina Pellegrino e il figlio sommesso Carlo De Ruggieri, parlano in una sorta di dialetto del sud con echi latineggianti, creato apposta per la pièce, che rende perfettamente il dramma della incomunicabilità.
La scenografia è semplice, tuttavia ricercata nei piccoli dettagli, gli attori sempre in scena, presenti. Un tavolo, alcune sedie, un inginocchiatoio in primo piano e alle spalle dei protagonisti, una cucina con una pentola che bolle ininterrottamente, il sugo della nonna morta quattro anni prima, “il sugo perpetuo, fine cottura mai”.
Un’atmosfera surreale, una sorta di follia dilagante, un’ ossessione per il cibo come unica valvola di sfogo e salvezza. Storia di una famiglia che sembra fuori dal tempo e avulsa da qualsiasi collocazione geografica, personaggi ignoranti e pieni di rancore, una famiglia in perenne conflitto e per nulla rassicurante. L’unico spiraglio di luce è rappresentato dal figlio Gervaso che vorrebbe evadere dal quel nucleo asfissiante per andare a lavorare “nella capitale”, volontà che prontamente il padre stronca sul nascere poiché incapace di mostrare una minima apertura verso l’esterno.
Solo la morte diventa l’aspirazione principale per fuggire a questa vita meschina e senza prospettive.