Coproduzione europea fra la Royal Opera House, Opéra National de Paris e Teatro Massimo di Palermo, il “Don Pasquale” con la regia di Damiano Michieletto (https://www.teatrionline.com/2019/10/damiano-michieletto-intervista/) è in scena a Londra in questi giorni.
Lo spettacolo diretto dal M° Evelino Pidò avrà ulteriore spazio nei cinema europei il 24 ottobre quando, grazie alla distribuzione Nexo Digital, sarà visibile in diretta via satellite.
In questa seconda intervista ai protagonisti di questa produzione, Il M° Pidò ha parlato della sua carriera, presente e futura e ha approfondito l’opera di Donizetti.
– Dopo Vienna e Parigi, eccola portare Don Pasquale oltre Manica. Per Lei che è considerato un ambasciatore del repertorio donizettiano cosa vuol dire portare Donizetti all’estero? Che differenze ha trovato nelle orchestre che affrontano queste opere? E quali nel pubblico che le ascoltano?
Essere considerato ambasciatore del repertorio donizettiano e del bel canto e comunque di tutto il repertorio italiano è una cosa che certamente mi lusinga.
Con le orchestre straniere, i Cori e gli stessi cantanti cerco di dare loro la mia conoscenza e di lavorare sullo stile, sul testo e sul suono. Un elemento che spesso non si valorizza ma è di importanza capitale è il recitativo il quale introduce sempre il personaggio, l’atmosfera e bisogna renderlo interessante e vivo. Il recitativo al suo interno ha i suoi tempi e occorre trovarli e renderli così importanti.
– Don Pasquale è un’opera buffa ma dai risvolti quasi tragici fra cui il contrasto generazionale e l’amore senile. Quali di questi elementi ha cercato di sottolineare nella sua interpretazione? Quali chiavi di lettura ha scelto?
Don Pasquale è un dramma buffo dove ci sono gli elementi comici e nostalgici. Attraverso la parola e la ricerca del fraseggio e del suono è compito del direttore d’orchestra sottolineare al meglio questi aspetti. La scena dello schiaffo è il momento più alto a livello drammaturgico e dove Don Pasquale realizza quanto possa essere amara e triste la vita. Gli si apre una enorme voragine dove i suoi sogni d’amore, di passione e fuoco si dissolvono bruscamente. Ebbene secondo me è opportuno ad esempio che dopo il famoso schiaffo ci sia una corona, una sospensione teatrale. Bisogna riempire questo silenzio! Il silenzio ha i suoi tempi: bisogna trovarli.
– Non è la prima volta che dirige l’orchestra della Royal Opera House, anzi sono più di venticinque anni che questo fruttuoso sodalizio continua. Come è evoluto il rapporto con questa orchestra? Che cosa l’ha colpita la prima volta e che cosa cerca nelle orchestre che dirige?
Per me è sempre una gioia dirigere l’orchestra della ROH. Il mio sodalizio artistico con il Covent Garden è ben lungo da tanti anni e altamente positivo. Negli ultimi anni l’orchestra si sta ringiovanendo con dei nuovi musicisti talentuosi e pieni d’entusiasmo
Per un direttore d’orchestra è necessario avere non solo ovviamente delle ragguardevoli doti musicali ma anche un bagaglio di qualità che vanno dalla personalità, al savoir faire, a una conoscenza profonda del teatro. Oggi purtroppo spesso avviene che la regia prevarichi il lato musicale e non tiene conto del pensiero e della visione del compositore. Il direttore d’orchestra ha il dovere e il diritto di contrastare ciò
Un piccolo ma enorme dettaglio: i compositori erano dei geni e noi siamo solo degli interpreti!
– Il mestiere del direttore è anche quello di dirigere un’opera e contemporaneamente studiare per la prossima. C’è qualche opera della tradizione operistica italiana che vorrebbe dirigere nel prossimo futuro e non ha avuto ancora modo? E quale opera internazionale è il suo sogno proibito?
Riguardo alcuni sogni nel mio cassetto ci sono ad esempio “Pelleas et Melisande”, “Tristano e Isotta” e “Medée” di Cherubini in versione francese, e “Zauberflôte”.