Prosegue la fortunata collaborazione fra l’Orchestra Senzaspine, brillante realtà musicale bolognese e il Teatro Duse di Bologna. Dopo l’acclamato sold out della scorsa stagione con Il barbiere di Siviglia, si continua sulla stessa lunghezza d’onda con Le nozze di Figaro. L’opera buffa in quattro atti, musicata da Wolfang Amadeus Mozart con libretto di Lorenzo Da Ponte, torna in scena più frizzante che mai nella versione simil-pop del regista palermitano Giovanni Dispenza.
L’Orchestra Senzaspine è ormai nota per la mission di avvicinare il pubblico teatrale all’opera lirica compiendo adattamenti freschi e leggeri che coinvolgano gli spettatori, siano essi cultori della musica classica, appassionati o semplicemente neofiti. Questo il punto di forza di una messa in scena che, anche stavolta, non delude le aspettative. La freschezza è percepibile nella giovane età dei membri dell’orchestra, magistralmente diretta da Matteo Parmeggiani, nella semplicità simbolica della scenografia, che raffigura grandi cornici entro le quali avvengono i misfatti e gli intrighi orchestrati dai personaggi, nell’interpretazione dei cantanti che, selezionati fra gli allievi della masterclass con il soprano Cinzia Forte, convincono per naturalezza e simpatia. Un cast affiatato e convincente, fra cui brillano particolarmente Serena Dominici, istrionica interprete di Cherubino e Irene Bonvicini, che dona alla sua Susanna grande precisione e limpidezza vocale. L’Orchestra Senzaspine conquista ancor prima che lo spettacolo inizi, totalmente visibile agli spettatori per la mancanza di una fossa che la “nasconda” come vorrebbe la tradizione. Storceranno il naso i conservatori, ma questo non fa che snellire un’opera di per sé abbastanza lunga, permettendo di apprezzare anche visivamente la performance musicale dei singoli componenti dell’orchestra.
A metà fra tradizione e modernità, la messa in scena di Dispenza si destreggia fra costumi settecenteschi e proiezioni video che mettono in risalto le liriche più incisive del libretto di Da Ponte. Convincente l’idea di spogliare il palcoscenico di orpelli e scenografie ridondanti affidando quasi del tutto la creazione del contesto spazio-temporale a delle grandi cornici, specchi dell’apparenza e grandi rivelatrici di verità taciute.
Durante i quattro atti che si susseguono fluidamente fra tradimenti, equivoci e passioni, si ride veramente di gusto, proprio come si dovrebbe fare guardando un’opera buffa. Ciò avviene anche grazie alla creazione di simpatici “siparietti” che annullano provvisoriamente la quarta parete facendo interagire il direttore d’orchestra prima con Figaro e all’inizio del quarto atto addirittura con la parte tecnica dello spettacolo. Piccole invenzioni per grandi risultati, il pubblico è entusiasta e il coinvolgimento finale durante i saluti con ben cinque minuti di applausi ne è la prova.