con Francesco Brandi e Francesco Sferrazza Papa
di Francesco Brandi
scene e costumi Andrea Taddei
video di scena Cristina Crippa
direttore dell’allestimento Lorenzo Giuggioli
assistente alla regia Gabriele Gattini Bernabò
regia Raphael Tobia Vogel
produzione Teatro Franco Parenti
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«Sono le 20.31
Del 4 marzo 2020.
Sono in camerino.
A Firenze.
Al Teatro Niccolini.
Tra mezz’ora dovrebbe andare in scena un mio testo.
Aspetto questo momento da una vita.
Firenze, il Niccolini, sono un sogno di gloria, un punto di arrivo, per quelli che vivono e lavorano come me.
Ci arrivo nel momento più difficile della storia del mio paese. Nella serata più difficile del mio paese dalla seconda guerra mondiale a oggi (cit.)
Da domani non si sa cosa succede.
Potrebbero chiudere tutto, e nel tutto, penso ci siano anche i teatri […] Questa potrebbe essere l’ultima replica di uno spettacolo di cui ho sempre sottolineato la vita incredibile che ha avuto.
Del resto è partito da una stanza in subaffitto a Roma ed è arrivato al Niccolini di Firenze, vedete un po’ se non è un miracolo. […] Mi dicono che stasera ci sono 15 persone se va bene. Penso che sia un peccato arrivare a questo momento, in queste condizioni. Però. Io darò il massimo. Ugualmente.
E come me, Francesco, Raf, Davidino, Mattia, la mia amata Andree. […]
Quando tutto sarà passato non dimenticatevi di noi.
Perché dimenticarvi di noi, vuol dire dimenticarvi un po’ di voi.
W il teatro.
W gli attori.
W l’Italia.»
Così scrive Francesco Brandi poco prima del debutto a Firenze, pesando ogni parola e testimoniando tutta l’apprensione di queste ore per le sorti dei teatri, dell’arte, della vita culturale italiana, che non ha difese di fronte ad una minaccia invisibile, eppure chiaramente percepibile nel suo insinuarsi ovunque, senza cura delle tante frontiere, dei confini e delle mura innalzate, proprio in questi anni, a difesa di obsolete illusioni conservatrici.
La sua bellissima finestra sulla soglia dell’adultità è un lavoro che merita attenzione, perché si avventura con immediatezza nel sentore di inutilità di una generazione intera, disarmata, cresciuta nell’agiatezza decadente del capitalismo, senza strumenti efficaci per affrontare lo sfruttamento, la carenza di tutele sul lavoro, le incertezze e i terremoti globali che hanno travolto il futuro.
L’apatia, il disfattismo, le lagnanze, la rabbia, ma soprattutto l’incapacità di svincolarsi da ruoli e maschere opprimenti, mal cucite da genitori-figli del miracolo italiano, sono le timide voci del presente, raccolte nel corso di un viaggio disorientante, desolante, individualista, che porta questa fiumana di umanità a perdersi ovunque pur di ritrovarsi, rimanendo sempre nel dubbio, ad un bivio annientante tra ieri e domani, sulla strada a cui Jack Kerouac ci aveva affezionato.
Un pubblico di pochi fortunati ha assistito all’impegno di un autore promettente, ad un soffio dalla sospensione dell’attività dei teatri; dopo le misure prese dal Governo, per scongiurare il più possibile contagi da Coronavirus, è stata indetta, infatti, una conferenza stampa in cui l’assessore alla cultura del Comune di Firenze, Tommaso Sacchi, ha comunicato l’amara decisione per quanto riguarda i teatri della Fondazione Teatro della Toscana, da lui presieduta.
Nel silenzio che verrà, quando le luci sul palco resteranno fredde e le poltrone, al buio, saranno vuote, il teatro andrà a prendersi spazio con più forza nei nostri pensieri.
Ines Arsì