La raccolta di poesie di Adriana Deminicis, insegnante di Monte Vidon Corrado, in provincia di Fermo, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Maria Rizzi esauriente e ricca di acribia.
Come scrive la prefatrice l’Autrice crea una sorta di romanzo in versi che tocca vette altissime di lirismo e trascina nel suo universo, in apparenza surreale, in realtà quanto mai vicino alla concretezza. Il riferimento Alla luna, l’idillio leopardiano dell’opera I Canti, è inevitabile, tanto più che il poeta di Recanati aveva come tema di fondo il ricordare, ovvero il rimettere nel cuore, per riferirci al significato etimologico del termine.
Leggerezza che si coniuga a icasticità sembra essere la cifra distintiva del poiein e della poetica della Deminicis, connotato fortemente dalla linearità dell’incanto, ad una capacità di stupirsi, di fronte alle cose e alla natura e non manca un riferimento concreto alla quotidianità di componimento in componimento come quando vengono detti la medaglietta del cane Zoe e la caffetteria, che a loro volte divengono simboli della ricerca di un rassicurante profitto domestico.
Tutte ben risolte le composizioni che sono sottese ad una forte dose di magia e malia e sembra che la poetessa raggiunga equilibrio e armonia nel suo approccio alle cose come quando, per esempio, prova un forte senso di amore per le piante, metafora di purezza, qualcosa che scende nel cuore e nell’anima.
Tutto l’ordine del discorso pare essere immerso in una costante riscoperta della bellezza che trova la sua realizzazione in quello che potremmo definire Eden privato dell’io-poetante stesso.
Chiarezza, nitore, luminosità e precisione sembrano connotare questi versi e la raccolta per la sua unitarietà contenutistica, semantica e stilistica potrebbe essere considerata un poemetto.
«…/ Il fiore nasceva come sentimento d’Amore / ogni qualvolta passava un Cuore colmo / d’Amore /…» (La caffetteria) scrive Adriana riscoprendo la rima che per antonomasia appartiene ai giardini eterni, infiniti e salvifici della poesia.
«Aspettavo la guarigione / andavo a cercare nei libri antichi / della memoria che dentro di me conservavo / per far venire alla Luce quel medicamento / antico, naturale, / quando ancora non c’era il caos / della disinformazione /…» (Aspettavo la guarigione): e qui pare essere sottinteso che proprio la pratica della scrittura poetica porta salvezza e guarigione dell’anima e del corpo.
In Una pianta di ulivo vengono decantate le qualità terapeutiche dell’ulivo e dell’olio e l’ulivo stesso diviene animato perché saluta l’io-poetante.
In un’epoca come la nostra di pandemia e guerra, di inquietudine per il destino dell’umanità, è raro incontrare una voce poetica, in questo caso autentica e originale come quella della Deminicis che non rifletta sul dolore e la morte.
C’è qualcosa di virgiliano in questi versi quando l’amore per la natura che si fa poesia anima le pagine.
Un esercizio di conoscenza tout-court intelligente e sensibile per ritrovare sintonia con se stessi e la realtà.