Trieste, per la sua collocazione geografica, è sempre stata un luogo di confine e ha raccolto il passaggio di moltitudini di viaggiatori in cerca di futuro, per cui non esiste, tuttora, alcuna forma di ricezione istituzionale. Linea d’Ombra è nata, grazie al vivo impegno di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, proprio a sostegno dei migranti, in seguito al crescente incremento del flusso che attraversa la città, certamente dovuto all’aggravarsi delle crisi umanitarie.
Ogni pomeriggio, in piazza Libertà, nei pressi della stazione ferroviaria, una folla nutrita di persone pacifiche si riunisce sotto la statua dell’imperatrice Sissi, per ricevere i primi medicamenti, a conclusione di lunghe traversate fatte a piedi. I volontari arrivano da tutta Italia e offrono cibo, coperte, indumenti a centinaia di donne, uomini e bambini sfiniti, senza alcun riparo e orientamento di prima accoglienza.
L’iniziativa di solidarietà, nonostante abbia incontrato diverse difficoltà e non sia apprezzata da una buona parte dei cittadini, che, al mio arrivo, in più occasioni, hanno addirittura negato l’esistenza di questa realtà, ha preso, comunque, proporzioni imponenti e sono stati organizzati anche corsi di lingua italiana e sportelli di ascolto, volti a favorire la sopravvivenza di persone in effettivo pericolo di vita, che sarebbero altrimenti lasciate a loro stesse, in una tragica omissione di soccorso.
Ho incontrato la Presidente, Lorena, in un clima di serenità, animato anche da un gruppo Scout in servizio, fra centinaia di volti stanchi e sorridenti, appena arrivati in Italia; era profondamente concentrata nel fornire le prime cure, con una dedizione che ricordava quella di una Maddalena degli ultimi e fra i suoi stretti collaboratori, ho avuto, poi, il piacere di intervistare una delle attiviste da molti anni partecipe all’ accoglienza.
Marianna Buttignoni, membro dell’Associazione Linea d’Ombra, vuole raccontarci come è nata questa iniziativa, come si è sviluppata nel tempo? Qual è la vostra mission?
L’associazione è nata a Trieste nel 2019; lo scopo è il sostegno delle persone migranti principalmente lungo la rotta balcanica, ma abbiamo sostenuto anche progetti in altre aree, come il confine a Ventimiglia o Oulx. E’ una iniziativa politica e non assistenziale; nonostante l’aspetto più evidente della cura possa apparire caritatevole, in realtà il supporto, anche concreto, ( scarpe, abiti puliti, cibo ) è per noi un gesto fortemente politico, di riconoscimento della dignità delle persone e della restituzione di quanto viene loro tolto da una politica crudele e violenta.
Da dove arrivano le persone che accogliete, perché fuggono dal paese natale e qual è il loro futuro?
Le persone che arrivano dalla rotta partono da paesi diversi. Qualche anno fa incontravamo siriani, egiziani, marocchini, oltre a persone provenienti da Pakistan , Afganistan, Bangladesh. Le motivazioni di chi lascia l’Afganistan credo siano ormai evidenti a tutti, ma stiamo vedendo anche gli effetti del cambiamento climatico : si lascia il Bangladesh o il Pakistan non solo per la povertà, ma anche in seguito a disastri naturali che rendono anche la coltivazione dei campi una attività soggetta a rischio. Il futuro è incerto, ma la forza e la tenacia di queste persone sono incredibili. Chi affronta un viaggio in queste condizioni ha una forza personale e una capacità di adattamento incredibili.
Il rischio di reclutamento degli extracomunitari tra le maglie della microcriminalità e le alte criticità in campo di accoglienza, sono uno dei nodi cruciali nella gestione dell’esodo di esseri umani che sta contrassegnando questa nostra epoca storica. Quali sono le possibili strategie utili all’ integrazione e quale le sembra la situazione attuale in merito?
Le persone che lasciano il proprio paese per costruire una vita migliore per sé e la propria famiglia, non vengono qui con l’intenzione di delinquere. Vengono qui per lavorare. La criminalità che mi preoccupa di più è quella del caporalato e dello sfruttamento, il lavoro nero e le condizioni di vita in cui saranno costretti a vivere.
E’ necessario comprendere che l’immigrazione non è una emergenza, è un fenomeno strutturale e come tale va affrontato. Rimando alla lettura del report VITE ABBANDONATE per tutte le informazioni aggiornate a questi giorni, circa le condizioni di mancata accoglienza a Trieste di persone che si sono presentate in questura e che sono a tutti gli effetti richiedenti asilo.
Melting pot o multiculturalismo? Quale pensa sia la miglior risposta di possibile attuazione a favore di una pacifica convivenza tra le diverse etnie che popolano le città europee?
Non ho una risposta, ma non parlerei di etnie, parlerei sempre e comunque di persone che, come tali, vanno accolte, accompagnate in un percorso di apprendimento della lingua e di integrazione. Pensi che da qualche mese è partita la nostra scuola di italiano, dove universitari e pensionati si mettono a disposizione per due ore al mattino, tutti i giorni, per un primo insegnamento dell’italiano. Molti migranti sono da mesi a vivere tra i topi , in un edificio abbandonato senza acqua e senza servizi igienici, dove quando piove tutto diventa fradicio, ma trovano la forza di sedersi intorno ad un tavolo e di cominciare. Nello zainetto, che contiene tutta la loro vita, ci sono anche le preziose fotocopie per imparare a dire come stai, come ti chiami, io vengo dal Pakistan, dove posso prendere l’autobus…
Primo soccorso di accoglienza, assistenza ed educazione, sono tre canali di aiuto necessari, in forma diversa, per le persone giunte da altri paesi, in cerca di una nuova vita. I percorsi di regolarizzazione per garantire la permanenza legale sul territorio, non debbono prescindere dall’affiancamento orientativo e strutturato, a favore dell’acquisizione delle autonomie utili all’inclusione nella società. Ma spesso l’assistenza, il primo aiuto di tipo sanitario e alimentare, è il canale favorito, rispetto a quello, di più complessa organizzazione, dell’educazione. Come è possibile, secondo lei, invertire questo processo così spesso votato al mantenimento delle marginalità, piuttosto che alla reale riqualificazione dei soggetti in difficoltà?
Credo che il primo problema sia il percorso con cui si arriva in Europa : perché costringiamo la manodopera di cui abbiamo bisogno ad un viaggio tremendo, costoso, umiliante, che arricchisce la criminalità? Perché lei e io possiamo spostarci con un passaporto ed eventualmente un visto, e invece per altri non sono previsti canali legali PRATICABILI per accedere in Europa? Non direi nemmeno che il primo canale sia quello favorito : per quanto ne so, sono stati tagliati fondi anche per l’assistenza. La nostra associazione comunque non ha contributi pubblici e lavora esclusivamente grazie a donazioni e raccolte di beni da parte di privati. Non definirei i migranti soggetti in difficoltà : si tratta di persone con una enorme forza personale, un proprio progetto di vita e non dei disgraziati da sistemare. Certo, se l’accoglienza non c’è e la politica pensa di risolvere la mancanza di gabinetti mettendo le inferriate intorno ai monumenti, (in piazza Libertà, dove pratichiamo la cura delle persone sulle panchine, c’è una statua dedicata all’imperatrice Sissi, mito dell’Austria Felix, ad area transennata); comunque, all’imbrunire, sui gradoni dove i migranti non possono più sedersi, i topi continuano a danzare il valzer. Se ci sono 400/500 persone in strada e non un singolo wc chimico, che cosa ci aspettiamo? Creiamo le condizioni di degrado per poter dire “schifosi”.
La marginalità è il risultato di una politica che non vuole fare i conti con la realtà. Qua si spende per le fototrappole. Ma chi vogliamo prendere in giro ? Un minore afgano, individuato con tecnologie all’avanguardia, lo rimandiamo indietro?
Quali sono le necessità stringenti per le persone prese in carico dall’accoglienza? E i comuni cittadini come possono contribuire agli aiuti? Ci sono dei canali utili a fare donazioni a favore delle attività della vostra Associazione?
Venite a vedere, se potete fermatevi, parlate con noi ma soprattutto con loro, scoprirete che non c’è nessun uomo nero e nessuna minaccia; sono figli di altre madri , in nulla diversi rispetto ai nostri figli che spesso si spostano per un futuro migliore. Credo che dovremmo cercare di cambiare le parole che utilizziamo: sono innanzitutto persone, come lei e come me, poi sono anche persone in movimento.
Come immagina la Trieste di domani? E quali progetti vorrebbe realizzare a favore della sua comunità?
La Trieste di domani? Ci sono già 31 000 triestini all’estero, fa il 15% della popolazione. Dovremo poi fare i conti con il riscaldamento globale, il livello del mare che si alza. Invece di investire sul trasporto sostenibile a Trieste, ci propongono l’ovovia. Confido che non essendo riusciti a far ripartire il tram di Opicina, fermo da quattro anni, forse ci salveremo dall’ovovia e avremo comunque delle bellissime lucette per Natale a illuminare piazza Unità.
Grazie
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Ines Arsì