I grandi protagonisti della serata, G. E Lessing l’autore di “Nathan il saggio”, Carmelo Rifici regista dello spettacolo, Guido Buganza che ha curato la scenografia e gli attori tutti bravissimi, sono stati alla fine accumunati in un solo lunghissimo, meritatissimo applauso. Il successo di quest’opera sulla tolleranza, sulla bellezza della diversità è anche dovuto alla sua grande attualità. Mettere in scena il dramma di Lessing è un contributo in difesa del valore delle differenze e contro ogni violenza, ogni divisione. In un momento in cui non solo la Chiesa cattolica, ma anche il governo del paese condanna il relativismo etico, le parole di Lessing vogliono essere una testimonianza di “fede” nel pluralismo, nello spirito di tolleranza, nel rifiuto delle verità assolute, nella disponibilità al dialogo, nell’attenzione alle ragioni degli altri, nella democrazia etica/culturale.
“Nathan il Saggio“ (1779), è una storia toccante, profonda e, allo stesso tempo, divertente. Parte da una domanda provocatoria (chi è il vero Dio, quale la vera religione?) per arrivare a condannare i pregiudizi, i dogmatismi, i fondamentalismi. E lo fa in modo ironico, puntiglioso scardinando le certezze con la famosa parabola dei tre anelli (metafora delle tre religioni monoteiste rappresentate dal Saladino, il Templare e Nathan) sulla domanda quale sia la vera religione.
Ed ora la storia di Lessing.
Il mercante ebreo Nathan custodisce un segreto: sua figlia Recha, che educa come ebrea, è una bambina adottata e già battezzata con il rito cristiano. Quando Nathan torna a Gerusalemme dopo un lungo viaggio d’affari, apprende che la sua casa è andata in fiamme. Anche Recha sarebbe morta bruciata, se un coraggioso templare non l’avesse salvata dall’incendio. I’illuminato e munifico sultano di Gerusalemme Saladino, aveva graziato il templare, pur appartenendo questo crociato allo schieramento nemico, perché rassomigliante al fratello più giovane di cui aveva perso le tracce da lungo tempo. E’ l’anno 1191, i cristiani si preparano per la III crociata, la città santa Gerusalemme si trova nuovamente in pericolo e le casse dello stato di Saladino sono vuote. Allora il sultano, che si rivolge a Nathan per ottenere un finanziamento, mette alla prova il ricco ebreo con una domanda: Quale religione è quella vera? All’idea di tolleranza religiosa e convivenza è legata anche la più bella scena della commedia che potemmo definire “la parabola di Nathan”, in cui il mercante e il Saladino si ritrovano nell’abbraccio finale a prescindere dai ruoli, dalle storie personali, dalle differenze di religione.
La seconda parte della commedia è la parte più “teatrale”, la parte favolistica in cui si intrecciano le vicende personali dei protagonisti, si svelano gli arcani con colpi di scena degni del teatro degli equivoci. Il Templare e Recha si amano, ma il loro amore è “sublimato” dalla notizia che entrambi sono figli dell’amato fratello del Sultano. Nella favola si inserisce una proteiforme tipologia di personaggi che rappresentano l’ipocrisia e la corruzione (il Patriarca), la complicità che alla fine si riscatta del derviscio, la comicità dell’ingenuo frate e della fanatica cristiana Daja (la serva di casa Nathan).
Carmelo Rifici, giovane ma già affermato regista, ha curato con grande ispirazione la drammaturgia dell’opera di Lessing riuscendo nell’impresa di non perdere pezzi nell’accidentato percorso ed è riuscito a esaltarne il messaggio etico, l’aspetto poetico e quello narrativo. Le scene curate da Guido Buganza sono, per l’incredibile semplicità e funzionalità (scenario unico con pareti mobili che creano spazi diversi), un capolavoro di fervida intelligenza. Belli i costumi di stile orientale (siamo a Gerusalemme all’epoca delle crociate) di Margherita Baldoni. Le musiche curate da Emanuele De Checchi moltiplicano le emozioni. Giocano un ruolo importante anche le luci di Claudio DE Pace. Gli attori infine meritano di essere tutti citati per l’assoluta bravura. A parte la classe eccezionale che ben conosciamo di Massimo De Francovich (Nathan) e di Fausto Russi Alesi (Saladino) sono di assoluta rilevanza le interpretazioni di Marco Balbi (Il Patriarca), Massimiliano Speziani nella duplice veste del derviscio e del frate, Vincenzo Giordano (il Templare) Stella Piccioni (Recha) Bruna Rossi (Daja) Francesca Ciocchetti (Sittah). Attori come abbiamo detto bravi anche se per corrispondere alle esigenze registiche certi personaggi (il frate, il derviscio, il Patriarca e la serva) sono stati caratterizzati in modo eccessivo rasentando, in certi momenti la macchietta e altri (il templare) hanno esibito una nevrosi confusionale con un eccesso di decibel non sempre, a mio avviso, funzionale all’azione.