con Gabriele Anagni, Rosy Bonfiglio, Valentina Carli, Barbara Chichiarelli, Giulio Maria Corso, Flaminia Cuzzoli, Valerio D’amore, Alessandra De Luca, Arianna Di Stefano, Desiree’ Domenici, Carmine Fabbricatore, Giulia Gallone, Samuel Kay, Matteo Mauriello, Marco Mazzanti, Ottavia Orticello, Alessandra Pacifico Griffini, Gianluca Pantosti, Eugenio Papalia, Matteo Ramundo
regia Massimiliano Farau
scene Bruno Buonincontri
collaborazione Drammaturgica Andrea Peghinelli
training vocale Jeffrey Crockett
training fisico Francesco Manetti
assistenti alla regia
Irene Di Lelio, Emiliano Russo
in collaborazione con IL TEATRO DI ROMA e l’Insegnamento di Storia del Teatro Inglese del Dipartimento di Studi Europei, Americani ed Interculturali dell’Università La Sapienza di Roma
INFO E PRENOTAZIONI : 366 6815543
Saggio degli allievi del II anno del corso di recitazione
L’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” in collaborazione con l’insegnamento di Storia del Teatro Inglese del Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali dell’Università “Sapienza” dà vita al secondo appuntamento del progetto “Leggere e interpretare la nuova drammaturgia britannica”, dopo il lavoro dello scorso anno su Martin Crimp.
Il progetto, coordinato dal prof. Andrea Peghinelli, si propone di far acquisire agli allievi attori della “Silvio D’Amico” e a un gruppo di studenti del Corso di Laurea Specialistica in Traduzione, strumenti idonei ad affrontare i testi della drammaturgia britannica più recente attraverso un lavoro “sul campo” che verifichi le traduzioni nel corso delle prove di messa in scena.
Quest’anno il lavoro sarà incentrato su Tender Napalm di Philip Ridley, e vedrà protagonisti gli allievi di secondo anno dell’Accademia. Tender Napalm andrà in scena alla sala B del Teatro India dal 6 al 9 Giugno alle 18.30 con la regia di Massimiliano Farau in collaborazione con Francesco Manetti e Jeffrey Crockett, docente di voce dell’American Conservatory Theater di San Francisco. Il 9 Giugno, alle 16.30 si terrà, sempre alla sala B dell’India, un incontro su Philip Ridley con il critico inglese Aleks Sierz e il regista David Mercatali.
Ridley è uno degli autori più innovativi e visionari del teatro inglese degli ultimi vent’anni. Pittore, romanziere, sceneggiatore, regista cinematografico (è stato l’unico ad aggiudicarsi il prestigioso Evening Standard Award, come esordiente più promettente, sia per il teatro sia per il cinema), Ridley è una figura molto originale di esploratore del “perturbante”. Nato e cresciuto nell’East End di Londra, dove tutt’ora risiede, ha fatto di questo quartiere suburbano il luogo principe in cui far vivere i suoi personaggi marginali e da cui fare emergere la sua singolare fantasia, sempre sostenuta da una forte componente viscerale che esalta l’aspetto esperienziale del suo teatro. La sua drammaturgia, che può far pensare ad uno sviluppo visionario e dark del cosiddetto “teatro della minaccia” del primo Pinter, ha al suo centro le paure, le ossessioni, le morbosità dell’infanzia che sopravvivono nella psiche adulta: i suoi personaggi sono per lo più giovani uomini e donne che faticano ad uscire di minorità e che si confrontano con un’ansia esistenziale così estrema da produrre spesso esiti quasi allucinatori. Il mondo sentito come luogo ostile quando non terrifico, la famiglia come rifugio e inferno allo stesso tempo, l’attrazione verso il mostruoso, il lancinante ricordo di un’infanzia edenica, forse solo sognata, la violenza degli istinti dell’animale uomo sono temi ricorrenti della sua opera. La sua leggendaria capacità di scioccare con situazioni e immagini spesso estreme, lungi dal perseguire un effettismo gratuito, risulta come il tentativo genuino di farci confrontare con le zone più oscure del nostro inconscio. Molti dei suoi testi, (The Pitchfork Disney, 1991; The Fastest Clock in the Universe, 1992; Ghost from a Perfect Place, 1994; Vincent River, 2000; Moonfleece, 2004; Mercury Fur, 2005; Leaves of Glass, 2007), caratterizzati da questi tratti tipici, sono ormai ‘classici’ del teatro contemporaneo.
Tender napalm è andato in scena per la prima volta al Southwark Playhouse di Londra il 19 aprile 2011, sull’onda del successo riscosso è stato rappresentato nelle principali città della provincia inglese e chiuderà la sua lunga tournée a giugno del 2012 nello stesso teatro in cui ha debuttato.
Un uomo e una donna si affrontano in campo aperto sul tema dell’amore. Non sappiamo i loro nomi, né dove si trovino. Li ascoltiamo cimentarsi in una pirotecnica sequenza di fantasie sessuali, giochi di ruolo, immaginifiche narrazioni orali, e il dialogo sembra seguire le regole di una sofisticatissima improvvisazione teatrale. Il confronto verbale è duro e il rituale del corteggiamento, carico di sensuale erotismo, si nutre di immagini dal potenziale altamente distruttivo: c’è una singolare miscela di tenerezza e violenza, amore e brutalità nei bizzarri atti sessuali a base di pallottole e bombe a mano che fantasticano. Poi, ad un tratto, le loro parole aprono scenari visionari e apocalittici: l’uomo e la donna raccontano di un’isola tropicale sconvolta dallo tsunami, minacciata da un gigantesco mostro marino, da incursioni aliene, da eserciti feroci di scimmie. E lo fanno come se descrivessero la loro condizione presente, come se su quell’isola, di cui si contendono la supremazia, avessero davvero fatto naufragio. E ancora, ecco emergere struggenti ricordi di adolescenze nella periferia londinese, di giovani vite segnate dal dolore e dalla perdita. La scena verbale si riempie di riferimenti all’East End di Londra e cominciamo a ricostruire il passato reale dei due protagonisti. E a poco a poco intuiamo che le fantasmagorie verbali sono, forse, un modo per venire a patti con il lutto, la sofferenza, il naufragio dell’amore. Da questa miscela di storie tratte dalle memorie personali e di racconti mitici l’uomo e la donna possono attingere per rifondare la loro unione. Nella sicurezza del distanziamento, necessario per affrontare temi altrimenti insopportabili, i protagonisti di Tender napalm non si risparmiano colpi, non per fare affondare l’altro, che anzi viene sempre sorretto, ma per creare terra bruciata tutt’intorno in modo che da quelle ceneri possano entrambi rinascere. La struttura circolare dell’opera, che per alcuni versi sembra riprendere la scansione cronologica a ritroso di Tradimenti di Pinter, si chiude riproponendo le stesse battute iniziali anche se con una leggera variazione, a testimonianza di un’avvenuta trasformazione. Tuttavia, la reciproca dichiarazione di amore del finale ci scivola vischiosamente addosso, lasciando sulla pelle la sensazione di un’esplosiva instabilità emotiva in bilico tra il rinnovato sentimento di amore e il terrore di un nuovo odioso naufragio.
Massimiliano Farau