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“La voce umana” e “ll bell’indifferente” di Jean Cocteau

fotoDue atti unici di Jean Cocteau in forma di monologo sono messinscena al Piccolo Teatro Grassi dal famoso regista del cinema francese Benoit Jacquot con la partecipazione di una grande, e incredibile se si pensa all’età, (81 anni!) Adriana Asti, scritti a distanza di 10 anni (La voce umana è del 1930, Il bell’indifferente del 1940).
La voce umana
Il primo monologo è un’opera dedicata al crepuscolo dell’amore, Ci mostra una donna che, attaccata al telefono cerca disperatamente di trattenere l’uomo che l’ha appena lasciata per un’altra donna. E’ il dramma straziante della donna frustrata, umiliata che si porta appresso le contraddizioni dell’animo impastato di tristezza, delusione, voglia di rivalsa, ma che con grande dignità sembra comprendere con apparente nonchalance la situazione per poi talvolta cedere allo sconforto, alla disperazione, all’ira con improvvisi slanci. A questa donna malata d’amore l’autore scruta l’angoscia umana e riesce a penetrare dentro il personaggio con analitica precisione. “Quando si mette giù il telefono – dice Cocteau – è come se distruggessimo l’ultima nostra possibile avventura incuranti dei gemiti dell’altro, da noi”.
Il bell’indifferente” appartiene a quel “Theatre de poche” che Cocteau scrisse tra gli anni ’30 e ’40: monologhi, canzoni composte ispirandosi alle grandi figure di artisti contemporanei, da Edith Piaf a Jean Marais, vere e proprie cronache teatrali della vita culturale del suo tempo. “E’ un monologo essenziale, un dramma dominato dalla solitudine della protagonista, una cantante attrice che con la sua storia di un amore sfibrato dall’abitudine, diventa simbolo straziante della condizione della donna di fronte all’indifferenza del mondo (e degli uomini), incarnato da Emile, l’amante.”.
Un testo che Adriana Asti ha voluto riprendere anche per raccontare il dramma esistenziale di molte donne, ma anche di uomini e omosessuali che vivono intensamente legati al proprio partner da cui dipendono in modo viscerale finendo per annullare se stessi.
Nel monologo si affronta il problema dell’incomunicabilità della coppia dove solo la donna cerca invano di rompere il muro dell’indifferenza del compagno che sdraiato sul letto sta leggendo il giornale che gli fa da schermo e rimanda al mittente le onde sonore della voce di lei. In realtà l’uomo dorme tranquillo del tutto indifferente alle esternazioni ora dolci e supplichevoli ora dure ironiche beffarde della donna che accetta anche di dividerselo con quella puttana della sua amante. In realtà, nell’ultima scena, quando la donna si rende conto che tutto è perduto e la consegna ad un futuro disperato l’unica via possibile che le si apre sembra il suicidio.
I due testi hanno il merito della brevità perché diciamo che se presi in se, non contestualizzati, accusano la patina del tempo. Sono schegge seppur puntute in quel grande tema della condizione psicologica (e non solo) ancillare della donna che oggi si è sfumata fino ad annullarsi Anzi oggi sono gli uomini l’anello debole della catena.
L’interpretazione di Adriana Asti è notevole per intensità, misura, ironia secondo il taglio moderno del regista che taglie la suggestione veristica e passionale dell’opera. Colpisce non tanto la padronanza scenica e la gestualità (perfetti), ma la voce dell’attrice, le modulazioni, la gamma delle tonalità. E i silenzi. Bravissima!

 

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