È dal “microdramma” di Puskin sul dualismo Mozart Salieri (con l’infondata leggenda della morte del primo per mano di Salieri) che Peter Shaffer ha tratto l’ispirazione per scrivere nel 1978 la commedia “Amadeus” la cui consacrazione è stata poi decretata dalla trasposizione cinematografica di Milos Forman. Riproporre la versione teatrale da parte del regista Alberto Giusta e di Tullio Solenghi dopo il successo del pluripremiato film è stato un atto di coraggio. Per evitare che gli spettatori fossero soggetti alla sindrome del ricordo, gli autori sono ricorsi, per quanto possibile, alla tecnica cinematografica del flashback ignorando la regola dell’unità di tempo e di luogo. Diciamo subito che la rappresentazione ha meritato il plauso della critica e l’applauso caloroso del pubblico.
La commedia sviluppa il confronto tra la genialità assoluta, la “disumana”creatività, l’irrazionalità, la sregolatezza di Mozart ragazzino volgare, isterico, indecente, incosciente e la razionalità, la mediocrità artistica, l’inclinazione alla cortigianeria, lo scarsissimo spessore umano che muta l’invidia in odio, l’ossessiva sete di gloria di Salieri pur consapevole della propria manifesta inferiorità. D’altra parte nessuno più di lui, grande musicista, poteva capire e temere la genialità di Mozart.
La scena si apre sulla figura di Antonio Salieri, un Tullio Solenghi irriconoscibile, vecchio, distrutto dai veleni dell’anima. Il dramma è ambientato dalla fine del ‘700 quando Mozart, preceduto dalla sua fama, incontra per la prima volta Salieri a Vienna. La figura portante dello spettacolo è quella di Salieri che, in una lunga seduta di autoanalisi, mette a nudo le sue debolezze e le sue meschinità tentando di raccontare al pubblico come andarono veramente le cose. Amadeus è la storia di una feroce gelosia. Antonio Salieri, maestro di cappella alla Corte di Vienna, il più celebre compositore del suo tempo scopre la propria mediocrità quando incontra e si scontra con Mozart. Non potendo competere col genio Salieri, straziato dall’ammirazione e dall’invidia, decide di distruggere l’uomo. D’altra parte Mozart fa di tutto per farsi detestare, è arrogante, insolente, volgare, offende Salieri senza rendersene conto, lui dice quello che pensa (che è poi la verità). Salieri crede che la responsabilità del successo di Mozart sia di Dio, un Dio iniquo, ingiusto che non ha esaudito le sue preghiere da fervente cattolico preferendo innestare la pianta del genio nello scriteriato, irriverente Mozart. “O Dio! Tu sei ingiusto se l’immortale genio da te non è concesso a chi ama d’amore ardente e fa sacrifici, a chi lavora duro e prega, ma splende in capo d’un artista folle, d’un perdigiorno: di Mozart”.
Salieri ammira il genio e il respiro immortale di “quelle partiture senza nemmeno una correzione”, ma coglie l’occasione dell’insuccesso del rivale per infliggergli un lungo calvario esistenziale, fisico e morale fino a provocarne la morte. Agendo sul senso di colpa che Mozart nutre per la morte del padre si presenta alla sua porta mascherato e gli commissiona un requiem che, nella sua intenzione, verrà eseguito al funerale dello stesso Mozart e che egli si attribuirà passando con questo alla storia. In realtà i loro destini si fondono, sono vittime della stessa disgrazia: quella del vivere consumati, dall’invidia o dalla passione. E man mano che la commedia avanza s’incupisce, portando alla luce tristezza e solitudine, che rendono simili i destini dei due protagonisti.
Salieri non è visto quindi come un uomo perfido, ma piuttosto come un uomo disperato, incapace di far fronte alla realtà, di rassegnarsi ai successi di Corte che ora gli sembrano modesti. Mozart di contro, ingenuo e rigido nelle sue convinzioni, si oppone alle sollecitazioni dei dignitari di Corte di correggere la sua musica. Anch’egli quindi è prigioniero del proprio genio. E questi mondi si toccheranno senza integrarsi, nella magistrale parte finale dove Mozart morente, convinto che un misterioso inviato dell’aldilà gliela avesse commissionata, detta il Requiem K. 626 a Salieri, basito dalla facilità con la quale escono un insieme di note che compongono sulla carta una melodia perfetta e sottolineano il funerale con il corpo di Mozart gettato senza alcun onore in una fossa comune.
Conclusione: il personaggio di Mozart è frutto di un errore della natura, mentre quello di Salieri, ieri come oggi, ha purtroppo valenza universale.
Gli attori sono di indiscutibile livello professionale dall’ottimo Tullio Solenghi, ambiguo, molle, angosciato che fa sfoggio della sua capacità di adeguare, alle fasi e ai tempi del racconto, gli strumenti dell’attore (voce, posture, gestualità controllata, espressioni mimiche). Bravissimo il giovane Aldo Ottobrino nel ruolo (difficile) di Mozart, anche se talvolta eccede nell’enfasi isterica e ridanciana del personaggio sa esprimere il coraggio anticonformista, la fragilità emotiva del personaggio fino alla disperazione e all’abbandono finali. Arianna Comes disegna bene la figura arguta e piccante della moglie Costanze, Davide Lorino con ironia interpreta la figura di Giuseppe III, Roberto Alinghieri quella del Barone Von Swieten, Andrea Nicolini quella del conte Orsini e, last but not least il bravo e simpatico furetto di Elisabetta Mazzullo. Molto apprezzate le belle scene e i costumi di Laura Benzi. Funzionali le luci di Sandro Sussi. Infine è doveroso registrare che, grazie alla regia curata da Alberto Giusta, la tensione emotiva mantiene alta l’attenzione degli spettatori.