Autori: Massimiliano Donato, Naira Gonzales, collaborazione di David Anzalone
Attore: Massimiliano Donato
Regia: Massimiliano Donato, Naira Gonzales, collaborazione di Raffaele Echelli
Ricerca musicale: Barnaba Ponchielli
Elaborazione burattini: Edgar Gonzales
Costumi: Manuela Marti
Disegno luci: Alessandro Scarpa
Produzione: Centro Teatrale Umbro
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Nel panorama delle rivisitazioni contemporanee dell’Amleto di Shakespeare lo spettacolo del Centro Teatrale Umbro occupa una posto minoritario perché privilegia un aspetto abbastanza trascurato dalle interpretazioni registiche e riscritture d’avanguardia del XX° secolo, che è quello della prospettiva religiosa, pur presente nell’opera originale, ma di scarso appeal ai nostri giorni. Nell’Archivio delle anime: Amleto le vicende del principe danese e della corte di Elsinore vengono infatti ripercorse da un unico personaggio, il becchino, che sin dal principio palesa la sua volontà di ascoltare le anime dei vari protagonisti per cogliere il segreto della loro tragica storia; che è principalmente una storia d’amore, sì umano, ma soprattutto assoluto perché partecipa del mistero in cui l’Onnipotente fa vivere le sue creature. Ma quello stesso becchino che si immedesima nei patimenti dei personaggi shakespeariani, è anche in una posizione più esterna rispetto al loro dramma perché si dimostra a disagio rispetto a quel “mistero d’amore” che solo parzialmente Dio ha svelato agli uomini e il cui segreto egli vorrebbe ritrovare dissotterrandolo, in un impeto di rabbia, dal profondo della terra. Si crea così uno stretto legame tra il dramma esistenzial-religioso del becchino, figura-ponte tra il divino e l’umano, e quello dei personaggi dell’Amleto, che non a caso fanno parte di un archivio personale che l’anziano popolano di nero vestito rimedita e fa rivivere nel cimitero, zona di confine tra la vita e la morte ma anche luogo-simbolo della sua e della nostra coscienza.
In questo modo l’ambientazione cimiteriale, riprodotta sulla scena con mucchi di ossa e scarni arredi in legno (una porta di assi consunte, una pedana mobile contornata di rami spogli), tende a riconfigurarsi come uno spazio purgatoriale, ricreato attraverso l’uso di luci soffuse e di musiche dalle sonorità distese, ora ipnotiche ora dolci, in cui le anime vagolanti scontano le loro colpe ma soprattutto effondono la loro pena. Ciò che accomuna e caratterizza prevalentemente i personaggi del dramma è proprio la dolente confessione dei loro più intimi travagli: da Polonio straziato per la tragica sorte di Ofelia, a Gertrude vacillante sotto il fuoco delle accuse del figlio, a Claudio che tenta inutilmente di pentirsi al cospetto del Creatore, a Laerte animato da un lacerante e fatale desiderio di vendetta; per giungere ad Amleto ed Ofelia il cui dramma interiore viene reso nei suoi aspetti più delicati e struggenti di tragedia d’anime giovani e pure; come nella scena di Amleto ripiegato su se stesso in malinconica solitudine sulla roccia di fronte al mare; o di Ofelia schiacciata da un carico di insostenibile sofferenza che la conduce alla follia. Si tratta di epifanie liriche di cui il becchino-attore (non a caso pesantemente truccato) ci fa percepire la portata incommensurabile, e costituiscono i momenti più suggestivi e toccanti dello spettacolo: come ancora nel caso di Amleto e Ofelia rappresentati come due uccellini di legno (manovrati da bastoncini) nel breve scambio in cui il giovane principe respinge la fidanzata intimandole di andare in convento; o quando Amleto, in forma di marionetta dal vestito scuro e dalla testa bianca e glabra, recita con semplicità e intensità, per bocca del becchino-medium, il celebre monologo dell’”essere o non essere”. Quella delle anime di questo Amleto appare come una tragedia il cui carattere distruttivo e soprattutto autodistruttivo (ne sono testimonianza le uccisioni di Amleto e di Polonio presentate come possibili harakiri) viene rappresentato non come unico frutto della responsabilità individuale ma come inevitabile tappa di un percorso di peccato e di redenzione.
Il doppio punto di vista interno ed esterno adottato dal becchino dà luogo ad una dialettica di “apoteosi e derisione” rispetto alla tragedia rappresentata, per cui il suo accorato coinvolgimento nel destino delle anime si capovolge spesso in un commento straniato e comico della loro stessa vicenda ottenuto anche attraverso riferimenti metateatrali, come nel caso del burbero capocomico-marionetta, scettico sulla riuscita della messinscena dell’Amleto, o attraverso l’incisiva caratterizzazione di personaggi come Polonio che, a passi di danza e con modi marziali presenta i numerosi componenti della sua famiglia e con la stessa tronfia rigidità dispensa paterni consigli a Ofelia e Laerte, o come la nonna di Amleto (curioso nonché inedito personaggio della “saga”) tanto petulante nel liquidare la vergognosa condotta della figlia Gertrude quanto premurosa nei confronti del nipote “Amletino”-marionetta (di cui sopra) a cui procura un piccolo teschio in vista del prossimo monologo.
Massimiliano Donato ha dato prova di grande versatilità muovendosi a suo agio tra i vari piani dello spettacolo: dall’esplorazione sentita e partecipata della vita interiore dei personaggi; al distanziamento dalle loro vicende ottenuto anche grazie ad un’icastica resa dei tratti involontariamente comici dei loro comportamenti. È riuscito anche a valorizzare le plurime valenze teatrali di marionette, burattini, pupazzi, oltre ad inserirli organicamente nello sviluppo drammaturgico dell’opera e a gestirli efficacemente nella dinamica scenica: l’apparizione di Rosencrantz e Guildenstern al di sopra della porta accanto allo Zio Claudio e le espressioni sboccate del capocomico-marionetta hanno ricreato il tipico clima comico-popolare del teatro dei burattini; la dissociazione di “Amletino” dalla voce monologante ha espresso altri aspetti essenziali della natura della marionetta, quali la sua anima eternamente infantile e il suo essere eterodiretta da un fato (ultraterreno o interiore) che lo sovrasta; Ofelia in forma di burattino completamente bianco, con gli occhi sgranati nel largo viso, ci ha restituito, senza bisogno di tante parole, la bellezza stravolta da un destino di tragica follia.