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Cuore di cane

In scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano fino al 10 marzo 2019

Cuore di cane
Foto di Masiar Pasquali

Un testo uscito dalla coraggiosa penna di Michail Bulgakov (Kiev 1891, all’epoca ancora Impero russo – Mosca 1940) medico per scelta, scrittore e drammaturgo per passione malgrado i conseguenti stenti, problemi, divieti, censure, vessazioni… tanto che molti suoi scritti sono pubblicati postumi.

La stesura di Cuore di cane risale al 1925, ma in patria è censurato fino al 1987, mentre in Italia compare a metà degli anni ’60 (insieme a Il Maestro e Margherita, altro capolavoro di Bulgakov) ed è veicolato anche nelle scuole medie tramite riduzioni ad hoc.

Frutto della sua esperienza esistenziale, anche come medico, il volume in cui aleggiano costanti ironia, sarcasmo e indignazione angosciata offre diversi piani di lettura passati nella riduzione drammaturgica – “libera versione teatrale dal libro di Michail Bulgakov” come correttamente riportato dal libretto di sala – di Stefano Massini attento a renderne dinamici i contenuti complessi e di una attualità sconvolgente: cosa cambia sotto la volta del cielo se non la forma attraverso cui l’uomo si ripete manifestando debolezze, insicurezze e vizi che sembrano non debellabili?

Quasi a indicare l’immutabilità dei comportamenti umani nel tempo, lo spettatore è accolto a scena aperta in un contenitore teatrale atemporale nel quale si dipana la surreale storia di un singolare esperimento – fallito nel suo intento primario di essere un elisir di giovinezza, ma comunque foriero di un’inattesa trasformazione – che vede come protagonista Pallino, cane randagio, spelacchiato e ridotto alla fame, vittima dell’utopia ambiziosa del professor Preobražénskij. Si tratta di un medico nell’Unione Sovietica del 1925 – connotata da una società distopica che imponendo diktat senza tenere in considerazione le singole individualità finisce con il cancellare qualsiasi spiritualità – mosso dal desiderio borghese di arricchirsi e non certo dalla volontà di portare effettivo giovamento a qualcuno.

In fondo l’unico a modificarsi è Pallino che diverrà il “cittadino Pallinov”, esemplare ideale dell’uomo nuovo sovietico: ma si tratta di una vera rinascita o piuttosto di un’omologazione – non quella borghese per cui lo ha rieducato il medico – che lo rende comunque meno libero rispetto al suo precedente status canino facendo di lui una vittima sia del superego scientifico di Preobražénskij, sia di un collettivismo destrutturante: una dicotomia già di per sé ironica nel testo a dimostrare la sottile finezza critica bulgakoviana verso la creazione di un mondo di burattini in cui nessuno ha una propria personalità.

A Giorgio Sangati (classe 1981, diplomatosi attore alla Scuola di Teatro del Piccolo di Milano, all’epoca diretta da Luca Ronconi di cui è stato allievo e poi assistente, laureato a Padova in Scienze della Comunicazione, e regista de ‘Le donne gelose’ di Goldoni al Piccolo nel 2015) il Piccolo Teatro di Milano ha affidato la prima produzione del 2019 con un cast superbo: Paolo Pierobon nei panni di Pallino e Sandro Lombardi in quelli del Professore affiancati da attori di vaglia.

L’allestimento attraverso l’uso sapiente del linguaggio evidenzia un pessimismo totale nei confronti della razza umana sempre impegnata a livello sia singolo sia collettivo a costruire in modo ipocrita un qualcosa che soddisfi chi organizza le novità e non chi le riceve. Completano la resa teatrale le scene (di Marco Rossi) da laboratorio scientifico, i costumi (di Gianluca Sbicca), le luci (di Claudio De Pace), importanti in quanto ossessione di Bulgakov il quale ritiene che la luce elettrica sia creata dall’“uomo nuovo” in opposizione a quella divina, e le scelte musicali ben calibrate.

Un lavoro teatrale da non perdere e da completare a posteriori con la lettura/rilettura del testo di Bulgakov: un esercizio intellettuale pregno di soddisfazioni.

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