“Possiamo intendere per abstract l’indice (o sommario) di un documento.
L’abstract si limita a riassumere, in un determinato numero di parole,
gli aspetti fondamentali del documento esaminato.
Solitamente ha forma “indicativo-schematica”;
presenta cioè notizie sulla struttura del testo
e sul percorso elaborativo dell’autore”.
Wikipedia, Abstract
Il 15 febbraio Abstract di Silvia Rampelli ha aperto lo sguardo sulle Grandi Pianure del Teatro di Roma, in una rassegna dove la danza – l’atto del corpo vivo – si fa spazio tra stanze adibite e vuoti strutturali al fine di un riconoscimento della vicinanza, della prossimità, della distanza, dello spazio che occorre per vedere, palpare, entrare in una realtà fatta di strati di pelle su muscoli e ossa in energia che si muove ora in un modo ora in un altro.
Abstract accoglie il respirare della platea in un silenzio gelido, sul palco una prospettiva interessante, un uomo, una donna, seduti all’orizzonte, e ancora una donna seduta in prossimità della riva. Il loro sguardo si pianta nel nostro. C’è rabbia? C’è silenzio? C’è fragore? C’è svuotamento? Cos’è?
Il corpo vive lo spazio del tempo, e in esso, nella sua stasi apparente, ogni piccolo movimento acquisisce densità, come un seme che a caduta libera si schiude improvvisamente, e poi lentamente, lentamente, lentamente, lentamente, lentamente in una coppa d’acqua.
Ogni petalo gestuale si apre sulla scena e va ad infrangersi con il fragore di una violenza mostrata asetticamente nella sua nudità, nella sua evidenza, quasi come un cane che ringhia, abbaia, arranca, prima di essere ucciso, e poi nulla.
Alessandra Cristiani, Eleonora Chiocchini, Valerio Sirna portano il loro corpo sulla scena quasi fosse un cadavere da vivisezionare, osservare, segnare riuscendo a trasmettere profondamente una sterilizzazione emozionale tanto decisa quanto spettrale.
La decentralizzazione del vissuto, l’investimento del senso, la concentrazione dell’atto rende la danza di Silvia Rampelli un’esorcizzazione nella quale la carne si fa carne da manipolare a proprio compiacimento nella scelta del senso – datogli da un altro.
Il soggetto si fa oggetto, e l’oggetto diviene una figurina da attaccare tra le parole di un giornale di cronaca nera.
Quando si toglie l’eccesso, quando il movimento si fa ricalco – e il tocco profondità – lo spettatore viene riflesso con tutto il suo riverbero in uno spazio di troppo in cui può scegliere se avanzare o indietreggiare restando tra i conosciuti giudizi, le fughe della mente, gli abbagli momentanei. Non vi sono crome, semicrome, biscrome a distrarlo, vi è una lunga breve al cui interno viene a bussare l’osservazione di un qualcosa che apparendo manifesto, sfugge al comune senso.
L’indagare l’impressione, che nello stallo decanta, diviene allora lo specchio di un lavoro sulla danza, come atto di vera rivoluzione, e trasformazione della cognizione in colui che osserva.
Un lavoro interessante.
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Credits:
ideazione e regia Silvia Rampelli
danza Alessandra Cristiani, Eleonora Chiocchini, Valerio Sirna
luce Fabio Sajiz
suono Tiago Felicetti
comunicazione Paola Granato
produzione Habillé d’eau, Tir Danza Coproduzione Armunia/Festival Inequilibrio,
con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Festival Danae, Armunia/Festival Inequilibrio, di Short Theatre e Centro di Residenza della Toscana Armunia CapoTrave/Kilowatt
con il supporto di Komm Tanz_Passo Nord – progetto residenze Compagnia Abbondanza/Bertoni
ringraziamenti Gianni Staropoli, Andrea Margarolo e Roberta Zanardo