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“Notturna gloria”, il canzoniere di Emanuele Martinuzzi

"Attendo che la poesia giunga misteriosamente e mi trascini dove vuole..."

Il viaggio in poesia che ci regala Emanuele Martinuzzi con la sua ultima raccolta “Notturna gloria” fresca di stampa per Robin edizioni nella collana ‘libri per tutte le tasche’, è quel percorso interiore del quale tutti noi, per le più intime ragioni tra realtà, sogno e immaginazione, vorremmo essere protagonisti.

Voci ‘fuori campo’ del nostro stesso cammino, capaci di raccontare, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo – segnato dal ritorno ai valori ancestrali e ai sentimenti più profondi dell’animo umano – paure, incertezze, prospettive e speranze.

Una ‘geografia’ di misteriosi spazi e di emozioni uniche, nel silenzio di città scomparse ma ancora vive; o in bilico eppure sempre magiche; solo descritte da racconti orali, ma che la penna del poeta sa rendere straordinariamente singolari e accattivanti.

Un canzoniere che – come scrive Adua Biagioli Spadi nella prefazione – “si fa portatore di verità e di bellezza, un intercalare di poesie filosofiche intervallate dai preziosi disegni di Gianni Calamassi”.

Ne parliamo con l’autore per meglio comprendere le fonti di ispirazione sulle quali il lavoro si permea e le molteplici chiavi di lettura che esso può offrire.

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Il tuo canzoniere è dedicato alle città. Da dove nasce l’esigenza del viaggio alla ricerca di “Notturna gloria”?

Questo testo è nato piano piano, una lunga gestazione e elaborazione, dal 2017 al 2019, fatta non solo di lettura e scritture, o riflessioni e tormenti, ma anche di pellegrinaggi e viaggi, confronti e scontri, anche interiori. Dopo le mie due prime raccolte “L’oltre quotidiano – liriche d’amore” e “Di grazia cronica – elegie sul tempo”, edite da Carmignani editrice, che mi avevano donato molto e a cui io avevo sacrificato tanto in termini emotivi e non solo, mi sono ritrovato nella classica selva oscura per chi scrive e in generale per tutti, vivevo un blocco creativo e un momento di spaesamento personale, una sterilità poetica e una confusione esistenziale, non riuscivo più a trovare le coordinate, che mi avevano sempre fatto da bussola senza meta nel labirinto dei versi e un po’ anche nella vita. Ero circondato dalle ombre del mio passato, che galleggiavano dentro me come relitti e fantasmi, il senso che avevo sempre dato alla poesia sembrava svanire e diventare opaco, assieme a molte altre cose. Mi sentivo colonizzato da un’aridità a cui non sapevo dare un nome preciso, non riuscivo più a mettere a fuoco la mia identità cangiante, oltre appunto alla normale tristezza nel vivere un periodo così particolare. Non so come, né perché, ho iniziato a fare viaggi fuori porta alla scoperta di ruderi, antichi borghi abbandonati e siti archeologici, in cui il mio animo desertificato trovava una sorta di misterioso rispecchiamento e proficuo beneficio nel ricomporsi, ammirando queste antiche civiltà, sull’orlo dell’oblio. Questo desiderio di girovagare mi ha preso la mano e oltre ai viaggi nei territori fisici ho iniziato a viaggiare nelle lande letterarie e storiche desuete, inattuali, scoprendo assieme ai luoghi fisici abbandonati e spopolati dei mondi del passato, tanti altri non-luoghi dispersi nella memoria storica collettiva e nei meandri della letteratura. Nel frattempo ho pubblicato altre due raccolte, “Spiragli” edita da Ensemble edizioni e “Storie incompiute” da Porto Seguro editore, entrambe di poesie ermetiche, esperimenti per ritrovare un qualcosa che io riconoscessi come la mia voce, ma ancora caratterizzate da quel senso di incompiutezza e disorientamento, che mi inducevano a continuare la ricerca di ciò che sento come una civiltà sperduta, dimenticata e vagheggiata, ossia proprio la poesia e il modo di esprimerla attraverso le parole e le emozioni.

I disegni del Maestro Calamassi non sono soltanto un intervallo tra i tuoi versi, ma rappresentano l’ulteriore forma interpretativa di questo tuo percorso. Qual è, secondo te, la chimica che integra e completa l’arte visiva del tratto e quella emotiva del verso?

Le opere del Maestro Gianni Calamassi sono tutt’altro che un intermezzo figurativo o astratto tra una poesia e l’altra. Il suo percorso artistico che possiamo ammirare in questo canzoniere, con opere che vanno dagli anni ‘70 fino al 2019, alcune appositamente disegnate per questo progetto, integrano concettualmente e arricchiscono emotivamente i versi delle poesie, in un tutt’uno di una stessa partitura, che muta in sincrono dalle parole alle immagini e viceversa, nello sfogliare via via delle pagine, ma che misteriosamente si ritrova a suonare la stessa melodia. Inoltre il punto degno di nota secondo me è che le illustrazioni riescono a rendere compiuta la manchevolezza e vaghezza delle poesie, esse rappresentano una mano tesa comunicativa, un aiuto maieutico nel fare nascere dal verso i significati in esso custoditi. Da questo punto di vista non posso che essere artisticamente grato al Maestro Calamassi proprio per il fatto che, nonostante la sua maturità espressiva e artistica, da cui avrei sicuramente molto ancora da imparare, abbia avuto estrema fiducia nell’assecondare le mie scelte compositive tra poesia e opere, le mie richieste di disegnare questo luogo piuttosto che un altro, di associare uno stile di disegno a una certa tipologia di città piuttosto che a un’altra, insomma una stima reciproca e un senso profondo di libertà, che rende questo canzoniere anche un proficuo incontro tra diverse generazioni di creativi.

Notturna gloria” non è un “diario di bordo”. Ma contiene il senso di un invito al lettore: qual è il suggerimento in versi che hai voluto affidare a queste pagine?

Come ci insegna molto spesso il mito antico, partendo da Omero e passando per Eracle o Orfeo, o anche per il Santo Sepolcro, non dimenticando il viaggio Dantesco, l’eroe si ritrova sempre a dover discendere negli inferi per recuperare un amore perduto o rapito, per compiere una fatica o per intraprendere un viaggio di conoscenza della realtà divina o del mondo.

Infine si può dire compia questa catabasi per ritrovare se stesso, per diradare le ombre che attanagliano la propria anima, per ricostruire le rovine che sembrano assolutizzare tutto nel proprio spirito, e tentare così una lenta, meditata e ispirata ascesa verso una nuova possibilità di comunicare con le cose e le persone, attraverso ciò che più torna a risplendere dentro e fuori di se; nel caso di chi scrive poesie ovviamente sarebbe recuperare la scrittura dall’oblio del foglio bianco, che è anche un’implicita e intensa metafora della vita. Poi ognuno potrà estrapolare dai versi la sua personale ricchezza di significati e interpretazioni. Aprire un libro è aprire una finestra per ammirare un paesaggio e viverlo, portare quelle parole incarnandole nelle proprie esperienze, come semi di senso, aprendosi alla fiducia che una parola possa germogliare nei propri vissuti e in nuove possibilità. Un libro ci può accompagnare nei nostri viaggi, diventare un frammento dei nostri ricordi, donare spessore e pienezza alle atmosfere che ci vengono incontro. Questo e altro mi auguro possa rappresentare il mio canzoniere per chi avrà modo di leggerlo.

Volendo dare una dimensione geografica al tuo “pellegrinaggio poetico”, tra le diverse città che hai voluto descrivere, tra quelle spopolate, quelle scomparse e quelle immaginarie, qual è la macro-area che hai sentito più vicina a te? E perché?

Man mano che questi viaggi proseguivano, sia nei territori fisici che in quelli letterari o anche solo nella mente o nel sogno, la cosa interessante è che sempre più un’area si intersecava nell’altra, le città abbandonate o spopolate assumevano nella scrittura una dimensione di sogno, quelle del sogno parevano essere come luoghi distrutti o scomparsi da ricostruire nell’idealità, infine anche le città scomparse o distrutte nel riportarle alla luce, in un sentore o attraverso un’idea, era come riabitarle con linee e suoni. Inoltre c’è da dire che sono molte le città antiche che ho visitato senza citarle espressamente nella raccolta, ma che sono state comunque fonte di ispirazione, anche per altre poesie, non necessariamente ascrivibili alla tipologia delle città spopolate. La tripartizione è ovviamente funzionale a un senso di viaggio che voglio comunicare, a un’evoluzione anche dello stile dei disegni, che passa dal figurativo delle città abbandonate all’astratto o minimalista di quelle distrutte fino al surrealismo simbolico per le città di fantasia. Spero che questo ampio respiro di vari universi che si toccano, che si rimandano per corrispondenze e profonde affinità, possa farlo proprio anche il lettore e piuttosto che scegliere quale di questi momenti sia più vicino alla sua sensibilità o meno, notare che più ci si addentra nel canzoniere, più tutto è abitabile dal sogno, ricostruito dalla poesia e popolato dalla bellezza.

Notturna gloria”, così come tutte le altre tue opere, è la risposta a chi magari rimane ancorato all’immagine del poeta come un tipo solitario, ispirato unicamente dalla luce fioca di un modesto tavolo da lavoro: ti sei sentito un po’ “cittadino del mondo”, cronista di emozioni, via via che la silloge prendeva corpo?

Sicuramente sì, anche se alcuni viaggi fuori porta o più lunghi, alla scoperta di questi luoghi dimenticati li ho fatti da solo, mentre altri in compagnia, però uscire dal proprio guscio verso realtà sconosciute, verso parti di mondo, magari dietro l’angolo, ma anni luce distanti dalla mia esperienza, è stata una vera avventura, ho avvertito tutto questo con ebbrezza e spaesamento. Però è stato entusiasmante scoprire che non solo ciò che è lontano fisicamente ti è sconosciuto, ma anche magari nelle colline sopra casa ci sono ruderi che raccontano storie, emozioni e sapori del passato, e che possono entrare a far parte del tuo futuro e della sua ricostruzione ideale. Sia i territori letterari che quelli geografici della nostra Italia sono veramente dei musei a cielo aperto, scrigni di una ricchezza di narrazioni che ci appartengono, ma che non viviamo con nitidezza come qualcosa di vivo e interiorizzabile anche adesso. Tutto veramente ci può insegnare da dove veniamo e dove possiamo andare, tutto ci è misterioso e intimo allo stesso tempo, basta solamente compiere il passo, piccolo o grande che sia, per voler fare esperienza di queste creative contraddizioni. Siamo davvero cittadini di vari mondi, universi e anime da esplorare con occhi arcaici e nuovi. La poesia ci fa vivere sempre questa possibilità.

Dell’abbandono, dei silenzi e dei vuoti che feriscono la Storia e la tradizione delle città o dei piccoli centri, l’uomo è spesso uno dei primi responsabili: nella poesia che hai dedicato a Fedora, una delle città immaginarie, si avverte la voglia di un ritorno alla fanciullezza: il poeta deve restare anche un po’ bambino, o è l’uomo che deve riconoscersi piccolo di fronte alla natura che lo circonda?

Fedora è sia il nome di una delle città invisibili di Italo Calvino, la città del desiderio, che il nome di mia nonna, purtroppo venuta a mancare diversi anni fa dopo una lunga malattia, che l’ha resa cieca e senza più memoria.

Il dipinto di Gianni Calamassi a cui è associata questa poesia, è intitolato “Emigrazione”. Tali simbolismi e richiami si rincorrono e articolano nelle parole della poesia. La Storia è spesso un bambino desideroso di andare avanti, nonostante tutto, anche dimenticando le proprie origini, accecato dai bagliori di un futuro ricercato come una promessa del destino. Ma spesso accade che nel momento in cui si deve scegliere di proseguire in un cammino, capiti invece di voltarsi indietro e ripensare ai giochi di bimbo, alle corse a perdifiato sotto gli occhi amorevoli e vigili dei familiari a noi più cari, di rivivere nitidamente le impressioni e le emozioni sopite sotto la coltre delle aspettative e della propensione al cambiamento, di riassaporare atmosfere che non ricordavamo neanche di aver vissuto. C’è un desiderio di cui parla questa poesia che si frammenta tra passato e futuro, c’è una volontà che si acceca e allo stesso tempo illumina tutto, c’è un amore che non ti viene mai strappato e ti accompagna ovunque. Ogni città immaginaria è una figura umana affidata alla fantasia, che grazie alla poesia, in qualche modo, torna a rivivere ancora una volta.

L’uomo attraverso la poesia può custodire la sua infanzia interiore, quello sguardo capace di creare dal nulla un intero mondo, di trasfigurare la natura da qualcosa di terrificante a qualcosa di meraviglioso, con cui si può vivere in armonia, contemplandone la violenta bellezza e addentrandosi nei misteri con stupore e rispetto, accettandone le ineliminabili contraddizioni. La poesia sa anche lenire le ferite inferte dalla storia, perché sa scavare e riesumare gemme dalle cicatrici, sa svelare le oscurità gettandovi sopra la sua luce, tirando fuori dall’uomo quella scintilla e quel valore, che lo mostra per come è nel profondo e come può perdonarsi per le sue fragilità.

Scorrendo le tue meravigliose quartine, si ha l’impressione di incontrare i grandi poeti del Novecento: Pascoli, Ungaretti, Quasimodo. È da ascrivere a qualcuno di loro la tua scelta di fare poesia, o hai semplicemente il tuo ‘modo’ di vivere in versi?

Questi accostamenti sono incauti e troppo generosi, non posso che ringraziare. Comunque in tutto quello che scrivo come in un flusso di coscienza, senza fine e né principio, riverberano le mie letture, il mio vissuto, le mie emozioni taciute come quelle espresse, i miei volti conosciuti o anche in divenire. Questi autori come altri, per esempio Montale, citato anche all’inizio del canzoniere, prima dell’approdo nei territori poetici da parte del navigante-lettore, o Campana, Pasolini, D’Annunzio, Carducci, Palazzeschi, e tanti altri nomi che mi vengono alla mente e al cuore, italiani e non solo, sono degli incontri imprescindibili per chi ama la poesia. Però nel bene e nel male, il prisma interiore che mi trovo ad essere non può altro che riflettere luce come può, come sa e come vuole, dimenticando questi grandi padri, ricercando la propria timida voce. Qualunque padre, o maestro veramente tale, ti insegna quello che puoi apprendere, cioè trovare il tuo sentiero, dove continuare, liberamente e a tuo modo, questo viaggio nella poesia, nell’esistenza. Ad ascoltare queste voci immense e libere, ti viene non altro che un gran desiderio di essere libero nell’immensità dei versi e sperimentarsi, con tutti i propri limiti ma con la voglia di librare ovunque, anche al di là del linguaggio, dove la poesia dimora da sempre.

La poesia è “arte in movimento”. Il poeta non vuole o, forse, non può riposarsi…per questo immaginiamo che la tua penna sia pronta ad un’altra avventura…cos’è che ancora ti manca e che vorresti far nascere?

Io attendo che la poesia giunga misteriosamente e mi trascini dove vuole. La poesia è in movimento, ma spesso sono una persona statica, riflessiva, indolente, almeno in apparenza, mentre il cuore e la mente vagano e volano, oltre le colonne d’Ercole magari, grazie alla fantasia. Ho diversi progetti in essere, incompiuti. Sono lì in letargo, l’ispirazione sarà la loro primavera per uscire dal sonno. Tra questi un poema sperimentale sulla Via Crucis, o anche un’altra raccolta di poesie ermetiche. Mi piacerebbe provare a scrivere prosa poetica, racconti. Continuare a scrivere articoli sul teatro, che mi manca e adoro sempre più. Ogni tanto mi diverto molto anche a scrivere saggi brevi o riflessioni su questo o quest’altro argomento, dove la mia curiosità possa esprimersi liberamente, osare a casaccio, buttarsi come un trapezista senza rete. Per il resto adesso devo curare le sorti di questi miei sepolcri di sogno, contenuti in “Notturna gloria”, capirli sempre meglio anche grazie ai punti di vista dei lettori. E soprattutto rimanere in ascolto anche di un solo piccolo e nuovo verso…

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Emanuele Martinuzzi, classe 1981, Pratese. Si laurea a Firenze in Filosofia. Alcune delle precedenti pubblicazioni poetiche: “L’oltre quotidiano – liriche d’amore” (Carmignani editrice, 2015) “Di grazia cronica – elegie sul tempo” (Carmignani editrice, 2016) “Spiragli” (Ensemble, 2018) “Storie incompiute” (Porto Seguro editore, 2019) “Notturna gloria” (Robin edizioni, 2021). Ha ottenuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Ha partecipato al progetto “Parole di pietra” che vede scolpita su pietra serena una sua poesia e affissa in mostra permanente nel territorio della Sambuca Pistoiese assieme a quelle di numerosi artisti.

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