Intervista ad Andrej Andreevič Tarkovskij

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Andrej Andreevič Tarkovskij è fiorentino d’adozione e Presidente della Fondazione Internazionale Tarkovskij; si dedica da sempre, con accuratezza filologica, ad indagare e divulgare l’opera di suo padre, il famoso regista, sceneggiatore e scrittore russo Andrej Arsen’evič Tarkovskij, autore di alcuni fra i più grandi capolavori della cinematografia mondiale  e figlio dell’illustre poeta ucraino Arsenij Aleksandrovič.

Nel corso dell’infanzia, ha trascorso un complesso periodo lontano dalla famiglia, trattenuto nella sua patria natale, l’Unione Sovietica, a garanzia del rimpatrio dei genitori, che ha potuto riabbracciare solo anni dopo e solo poco prima della morte del padre.

 Il clima colto, respirato in un ambiente completamente dedito all’arte, lo ha reso un fine ed impegnato documentarista; nel 2019,  ha presentato, alla Biennale di Venezia, Andrej Tarkovskij – il cinema come preghiera e adesso, sta ultimando uno straordinario progetto di cui abbiamo parlato insieme, nell’attesa comune della realizzazione dei prossimi futuri.

Andrej Andreevič Tarkovskij, chi era suo padre?

Mio padre era un grande regista, ma, soprattutto,  un grande poeta. Chiaramente, trovò la sua vocazione nel cinema e si esprimeva attraverso il linguaggio cinematografico, ma  era comunque un erede della tradizione poetica dell’Epoca d’argento russa, di suo padre  e di chi ha continuato la tradizione poetica russa.

Era figlio del grande poeta Arsenij Aleksandrovič Tarkovskij. Quale era il suo effettivo rapporto con la poesia?

Era prima di tutto un poeta. Lo diceva anche lui. Non sono un regista, non sono un filosofo, sono, prima di tutto, un poeta e per lui tutti i grandi artisti erano, prima di tutto, poeti. Era ridicolo, per lui, chiamare scrittore Tolstoj, o chiamare pittore Leonardo, o regista Bresson. Erano tutti poeti per lui e, in qualche modo, anche lui si definiva così.

Per essere un artista e avere una visione particolare del mondo, mio padre si esprimeva anche attraverso la musica, la pittura, ma ha trovato la sua vocazione nel cinema. Secondo me, poteva essere anche un grande pittore o un direttore d’orchestra. Amava molto la musica e la pittura, ma, una volta scelto il cinema, non dipingeva, non componeva. Nei suoi film emergono, comunque,  profonde conoscenze nelle arti. Si vede. Si sente.

Ha potuto sicuramente raccogliere, insieme a lui, momenti di indimenticabile bellezza. Ma, quando, nel 1982, durante il soggiorno in Italia, suo padre decise di non tornare più in patria, a causa della censura, lei fu trattenuto in Unione Sovietica. Ricorda come ha vissuto, invece, quegli anni critici?

Per un ragazzino di undici anni, che per quattro anni non vede i genitori, mia madre era con lui, è stato un momento molto difficile. Mio padre era a lavorare sul film Nostalghia, a cui seguì la decisione di rimanere in Occidente. Per fortuna, eravamo in contatto telefonico quasi quotidiano, ma certo, la lontananza si faceva sentire, sia per me , ma soprattutto pesava su di lui e quindi, sono stati gli anni più difficili della sua vita.

Secondo lei, come ha influito l’epoca storica in cui suo padre è vissuto, sulla sua produzione artistica?

Mio padre era un artista molto indipendente, molto libero. Parlava sempre di libertà. Diceva che è impossibile creare senza la libertà, senza la possibilità di esprimersi e, in Unione Sovietica, era riuscito a fare cinque film. Pochi, pochissimi, ma è un miracolo che sia riuscito a realizzarli in quel periodo in Russia. Questo vuol dire anche la sua forza come artista, nel proteggere e devolvere le sue idee, la sua visione del mondo.

Guardi, ogni artista, ogni vero artista, anticipa i tempi e di conseguenza è incompreso e comunque combatte per la sua propria opera e per poter lavorare. E questo riguarda qualsiasi regime o struttura sociopolitica.

Per lui era molto difficile lavorare, ma allo tesso modo, non credo che in Occidente sarebbe riuscito a fare molti film di più. La produzione cinematografica, in Occidente, è basata molto sul botteghino, sul guadagno, sulla produzione.

Dunque, non si faceva illusioni; fare un film commerciale non era una strada percorribile, quindi, per trovare, per esempio, i fondi per Sacrificio, film che girò in Svezia, ci vollero due anni, con molte difficoltà.

Come influisce su di lei, invece, l’attuale epoca in cui stiamo vivendo?

Vede, io ho vissuto molte epoche e molte situazioni. Sono nato e cresciuto in Russia, ma vivo in Occidente da trentacinque anni; ci sono sempre delle difficoltà. Il mio lavoro consiste nel continuare a promuovere l’opera e l’idea artistica di mio padre, che non si incrocia con le questioni politiche. Si tratta di una ricerca spirituale, molto intima, molto personale, come la  fede. Ecco, questo.

Ci sono sempre stati dei conflitti tra la libertà personale e i vari regimi politici e sociali che esistono nel mondo. Io credo che, comunque, è più importante lavorare su noi stessi, sul nostro essere, sulla nostra visione, sulla nostra libertà personale. Mio padre ripeteva, infatti, che della libertà nessuno può privarti, perché fa parte del tuo essere spirituale dalla nascita.

Si può essere privati dei diritti, ma non della libertà, diceva. Riteneva, poi, che in molti paesi, apparentemente meno liberi dell’Occidente, vi fossero anche individui molto più liberi.

Ma, qual è l’eredità spirituale che le ha lasciato suo padre?

Come dicevo, questa sua visione del mondo, con le sue preoccupazioni e le ansie che, già negli anni settanta e ottanta, lo portavano a prevedere conflitti politici e geopolitici, pericoli per l’esistenza dell’essere umano. Parlava già, all’epoca di Cernobyl, del tema ecologico. Affermava che era solo l’inizio  di un periodo difficile e sosteneva che stiamo distruggendo la nostra nicchia di esistenza umana, che stiamo delimitando la nostra possibilità di andare avanti.

Suo padre è vissuto a lungo in Italia. Cosa amava, di più e di meno, di questo paese?

L’Italia, per ogni russo, è un paese d’elezione; quasi una seconda patria. L’epoca del Rinascimento gioca un ruolo fondamentale in questo, insieme ai rinomati Dante, Leonardo, Piero della  Francesca.

Firenze, per lui, era un luogo scelto, di elezione. A Firenze voleva aprire anche una scuola d’arte, dove voleva insegnare non solo il cinema, ma proprio l’arte, la sua visione dell’arte. Un sogno, purtroppo, non realizzato.

Potrà realizzarsi in futuro?

Nel futuro, speriamo di poter fare. Stiamo lavorando, al momento su un progetto museale, poiché, nel Fondo, sono conservati i suoi documenti, i suoi archivi che vengono da tutte le parti del mondo.

Sembra un progetto importante.

Questo è il progetto a cui tengo di più, come stavo dicendo; aprire  un museo, un luogo al pubblico. Lo studio d’artista di mio padre, con l’archivio, con i materiali, è uno spazio in cui chiunque può immergersi in un’atmosfera creativa; ci sono le sue cose, la sua biblioteca.

Sta girando anche un film. Vuole lasciarci un commento in anteprima?

Abbiamo un progetto molto importante e molto bello; lo stiamo concludendo in questi giorni. Si tratta del restauro della versione d’autore del film Andrej Rublëv , mai restaurato prima. Questa è la prima volta. L’abbiamo fatto grazie al contributo del Ministero della Cultura e vediamo di presentalo presto in Italia.  Si tratta di un documentario sulla storia della creazione del film e su quello che emerge, nella versione d’autore del film.

Nell’attesa di vederlo in sala, vorrei salutarla chiedendole quale, tra le poesie di suo nonno, ricorda con più affetto?

Sono tantissime, ma quelle che amo di più sono quelle che ho conosciuto per prime, attraverso le opere di mio padre, in cui venivano citate. Vita, vita è tra quelle che amo di più ed è una poesia sulla vita.

Grazie.

 

Ines Arsì