Il Teatro dell’Opera di Roma che omaggia il Maestro Franco Zeffirelli in occasione del centenario della sua nascita con il trionfale ritorno di Pagliacci di Ruggero Leoncavallo (repliche fino al 19 marzo): un omaggio che passa anche attraverso il ritorno sul podio di Daniel Oren (dopo 13 anni di assenza dal Costanzi), che aveva diretto anche la prima di questo allestimento creato per il Costanzi nel 1992.
Pagliacci, uno dei titoli più amati del repertorio, opera manifesto del verismo italiano, ambientato a Montalto, in Calabria, il giorno di Ferragosto, fra il 1865 e il 1870, rappresenta un unicum nella prestigiosa carriera di Zeffirelli che per la prima e l’unica volta, aveva realizzato un’opera in abiti contemporanei, seguendo la messinscena di un “mondo pittoresco” già voluto e indicato da Leoncavallo intento a realizzare un’opera moderna.
“Ho attualizzato la vicenda – spiegava Zeffirelli – perché ritengo che sia proprio quello che l’autore voleva” che mette in scena l’opera, in un prologo e due atti, mirabile esempio di metateatro, “dolorosissima avventura di sangue e di amore”. Arcinota la storia di amore, tradimento e morte in cui realtà e funzione si intrecciano: Nedda tradisce il marito capocomico Canio con il giovane Silvio. Canio, in scena come Pagliaccio, uccide Nedda, che sulla scena interpreta Colombina e l’amante Silvio, trasferendo la vendetta dalla finzione alla realtà.
Una storia di amore che uccide che viene ripresa dalla regia di Stefano Trespidi, con le scene (sempre affollatissime) di Zeffirelli che passano dai dettagli di un degradata città meridionale dell’Italia degli anni Sessanta, con edifici grigi bici, auto e motorette, il camper dei commedianti gettando uno sguardo sulla quotidianità della gente, fino al secondo atto dello spettacolo, dove irrompono in scena disegni dei clown, giocolieri, mangiatori di fuoco e saltimbanchi nel teatrino di strada che ospita la tragedia finale.
Costumi vivaci di Raimonda Gaetani, che denunciano la povertà dei personaggi, coloratissimi i costumi in scena, esageratamente ricchi di paillettes di ogni genere che brillano sotto le luci di Vinicio Cheli.
Il pubblico accoglie trionfalmente ili ritorno di Pagliacci illuminati dalla presenza di un superbo cast. Il baritono Amartuvshin Enkhbat, che apre il dramma con il prologo, è un eccezionale, intenso e difforme Tonio (che chiude anche l’opera con il celebre “La commedia è finita!”).
Il tenore statunitense Brian Jagde, al doppio debutto a Roma e nel ruolo di Canio, conferisce un’interpretazione moderna e umanissima al suo personaggio, apprezzato per la bellezza dello stile di canto, i volumi potenti. Si muove sempre con autorevolezza interpretativa nei panni di Nedda-Colombina, la bella Nino Machaidze particolarmente interessante nelle note alte. Si lascia notare il baritono Silvio di Vittorio Prato, nelle romantiche arie dell’opera accanto alla sua amata.
La direzione musicale di Daniel Oren, alla guida dell’Orchestra riesce regala senza eccessi naturalezza e coesione in un ricco affresco sonoro fra la buca e i cantanti assicurando anche l’unità con l’ottimo Coro preparato da Ciro Visco. Applausi trionfali del pubblico. Repliche fino al 19 marzo.
Fabiana Raponi