di Carlo Goldoni
Personaggi e interpreti:
Canciano, cittadino: Alessandro Albertin
Felice, moglie di Canciano: Stefania Felicioli
Il conte Riccardo: Michele Maccagno
Lunardo, mercante: Giancarlo Previati
Margarita, moglie di Lunardo in seconde nozze: Cecilia La Monaca
Lucietta, figliuola di Lunardo del primo letto: Margherita Mannino
Simon, mercante: Piergiorgio Fasolo
Marina, moglie di Simon: Maria Grazia Mandruzzato
Maurizio, cognato di Marina: Alberto Fasoli
Filippetto, figliuolo di Maurizio: Francesco Wolf
Regia: Giuseppe Emiliani
Scenografie: Federico Cautero
Costumi: Stefano Nicolao
Disegno luci: Enrico Berardi
Musiche: Massimiliano Forza
Arrangiamenti: Fabio Valdemarin
Produzione: Teatro Stabile del Veneto-Teatro Nazionale
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A Venezia non è Carnevale senza Goldoni! Così il Teatro Stabile del Veneto, oltre al nutrito cartellone pensato ad hoc, presenta in stagione un nuovo allestimento de I rusteghi. Capolavoro dell’avvocato veneziano, scritto tra il 1759 e il 1760 per il Teatro di San Luca, segna il passaggio a una nuova fase creativa che vede affievolirsi gli elogi dell’autore al modello borghese, fin prima celebrato nella figura del buon Pantalone. Vicenda tutta domestica, all’interno delle quattro mura del mercante Lunardo, capobanda di quattro laudatores temporis acti che, spinti da falsi ideali di compostezza, rigore e autorità padronale, angustiano figli e mogli. Familiari, questi, che scalpitano dentro alla prigione costruita dall’ordine “rustego”, sopraffatti dai continui rimproveri e mortificazioni. Tale modello, secondo il quale non serve che i novizi si vedano prima delle nozze, si sgretolerà eccezionalmente grazie all’intervento di Felice, donna dalla spiccata oratoria e organizzatrice dell’incontro segreto tra i due. Da poeta che era Goldoni, la lingua veneziana trova qui massimo splendore e, oltre a costruire occasioni d’ilarità, diventa elemento caratterizzante, coi suoi intercalari e registri differenti, d’ogni personaggio. Stupisce come le sentenze dei salvadeghi non siano molto diverse da quelle che si possono rubare al bacaro, al mercà o al caffè, a testimoniare ancora quanto universali siano le risposte di chi non cede ai cambiamenti morali.
Giuseppe Emiliani, di cui già l’anno scorso s’era visto il riuscito Affresco di Venezia (vedi recensione), confeziona uno spettacolo tradizionale, senza alcun intento innovativo, atteggiamento plausibile dato che Goldoni offre già tutti gli elementi perché la commedia funzioni. Emiliani lavora con una compagnia abbastanza omogenea che però, alla prima del 3 febbraio, ha mancato in parte di affiatamento. Più volte la tensione ha fatto anticipare ad alcuni la battuta prima che il collega finisse. Scelta opinabile poi quella di leggere il conte Riccardo sotto la lente di un eccessivo cicisbeismo, quando in realtà un forestiero ben più prestante avrebbe soddisfatto l’ambiguità della triade abitata da Felice. Le scene di Federico Cautero, costruite con pannelli e tende scorrevoli, giocano sul contrasto tra verticalità e orizzontalità, aprendo e chiudendo ambienti ora angusti ora ariosi, illuminati con suggestive tinte tiepolesche da Enrico Berardi. Preziosi e in stile i costumi di Stefano Nicolao, volti a creare rimandi cromatici tra le coppie. Eleganti le musiche di Massimiliano Forza e gli arrangiamenti di Fabio Valdemarin.
Tra i rusteghi, Giancarlo Previati si prodiga in un ottimo Lunardo, seguito dal misogino Simon di Piergiorgio Fasolo e dal Cancian di Alessandro Albertin, voce stentorea e muso duro. Costretto in pose affettate il conte di Michele Maccagno, ottimo caratterista. Maurizio composto quello di Alberto Fasoli e Filippetto al di sotto dell’adolescenza quello di Francesco Wolf. Margherita Mannino, vegnimo a dire el merito, deve ritenersi soddisfatta perché la sua Lucietta è la miglior interpretazione femminile. Mannino vanta un’ottima dizione, un volume perfetto che evita di perdere qualsiasi battuta e una gestualità ben studiata, elementi che convergono perfettamente nella fanciulla al limitare tra l’adolescenza e l’età adulta. La Marina di Maria Grazia Mandruzzato è ferina, sottile e tagliente, la classica zia di tutti noi. A Cecilia La Monaca l’ardua parte di Margarita, moglie di Lunardo, nel complesso ben sostenuta, sebbene un briciolo di volume in più non guasterebbe. Veniamo a Felice, personaggio chiave qui interpretato da Stefania Felicioli, attrice dalla lunga carriera goldoniana. La compostezza e l’autorità non le mancano, esaltate dal costume più lussuoso (d’altronde è una cittadina, ceto superiore a quello mercantile), mentre la voce, dal particolare tono adulto misto infantile, si presta meglio a una morbinosa che a una gran signora versata nell’oratoria. Rimango dell’idea che una miglior distribuzione dei tre ruoli (più adatta Maria Grazia Mandruzzato come signora Felice, Stefania Felicioli come Margarita e Cecilia La Monaca come Marina) fornirebbe al tutto quel mancato affiatamento di cui ho scritto sopra.
Risate a scena aperta e applausi entusiasti da parte del nutrito pubblico.
Dal 10 febbraio lo spettacolo inizierà la tournée a Padova e attraverserà l’Italia centrosettentrionale fino al 22 marzo, quando I rusteghi saluteranno il pubblico di Cittadella.