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Chiara Rantini, Icaro della scrittura

Intervista alla scrittrice fiorentina Chiara Rantini

Chiara Rantini, nata a Firenze in un giorno di maggio alla metà degli anni ’70, è una scrittrice a tutto tondo, una poetessa che vola sulle ali del pensiero, un Icaro della scrittura. Ha studiato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della sua città, laureandosi con una tesi sul pensiero di Simone Weil. Ha molteplici interessi ma su tutti prevalgono la lettura, la scrittura (coltivata sin dall’età dell’adolescenza) e l’amore per la natura, in particolare per la montagna. Fa parte del collettivo poetico Affluenti Nuova Poesia Fiorentina. Negli ultimi anni ha partecipato ad alcuni concorsi letterari a cui sono seguite le pubblicazioni di racconti e poesie in antologie e libri editi. Da qualche anno cura insieme al marito Daniele Marletta il Blog come la pioggia di letteratura, cultura e storia. Ha pubblicato il romanzo La resa delle ombre, Alcheringa ed., Anagni, 2018 e la silloge poetica Un paradiso per Icaro, Ensemble ed., Roma, 2018.

Si potrebbe aggiungere molto altro. Ma lasciamo che siano le sue parole a raccontarci qualcosa in più.

Ci vuoi raccontare di cosa parla questo tuo ultimo lavoro letterario “Un paradiso per Icaro”?

Un paradiso per Icaro” è la mia silloge d’esordio. Raccoglie al suo interno quarantanove poesie nate, cresciute e meditate nel corso degli anni. Parole e immagini si adagiano in un universo lirico tutto singolare, attraversato da suggestioni tardo ottocentesche e novecentesche. Nel ritmo lento del verso libero scorrono immagini di un mondo interiore complesso, intenso e fiabesco. Suddivisa in quattro sezioni, la silloge affronta alcune tematiche a me molto care come il rapporto tra poesia e vita, la riflessione sul senso del tempo, sull’esilio e sulla fragilità dell’esistenza. La scelta stilistica tende a ricercare l’essenzialità del verso, la semplicità e il potere evocativo delle parole, l’istantaneità delle immagini. A tratti onirica e visionaria, ricorre una particolare simbologia legata a temi biblici e mitologici. Non mancano riferimenti alla natura, vista come specchio di un mondo superiore, impenetrabile e tuttavia inteso come unico approdo dell’esistenza terrena. Spiritualità e concretezza della vita si incontrano nei testi di questa silloge cercando una possibile, desiderabile armonia, nella convinzione che la poesia è un fenomeno e il poeta un mediatore.

C’è un altro libro a cui sei particolarmente legata, anche non tuo? E perché?

Sì, esiste un altro testo a cui sono molto legata. Si tratta del mio romanzo, “La resa delle ombre”, pubblicato anch’esso nel 2018. Si tratta di un testo molto introspettivo che ho scritto in periodi diversi della mia vita. È quindi un romanzo che si compone di diverse stratificazioni pur tuttavia restando qualcosa di unitario. Io lo definisco un testo “da camera” perché può essere letto come una storia da interno, per quanto ci siano anche delle ambientazioni esterne. Ma la particolarità sta nel fatto che tutto può essere visto come un paesaggio interiore, in bilico tra sogno e realtà. Ed è proprio questa dimensione di confine che mi è particolarmente cara perché la sento come una caratteristica del mio modo di scrivere.

Qualche riconoscimento, anche personale, di cui vai fiera?

Non pongo attenzione molto a i riconoscimenti “ufficiali” anche se certamente mi fanno piacere. Sono invece molto attenta alle opinioni delle persone che hanno letto i miei testi. Mi piace capire cosa hanno appreso, che tipo di messaggio è arrivato nelle loro anime. Credo che tutta l’arte, quindi anche la scrittura, sia essenzialmente comunicazione, una comunicazione che talvolta pare silenziosa ma che agisce in profondità, quando ovviamente si tratta di buona letteratura. Se resta qualcosa è un buon segno, significa che il testo ha un certo spessore e non è superficiale.

Quale peso o responsabilità credi che abbia la cultura nella società di oggi?

La cultura ha un peso importantissimo. Siamo in una situazione storica non dissimile a quella degli anni ’20 del Novecento. La crisi non è solo economica ma sociale e di pensiero. In un momento come questo, la cultura può essere sostegno ad un’umanità che traballa e vaga smarrita alla ricerca di un senso. Per far questo però, la cultura dovrebbe liberarsi dai vincoli della politica e, se necessario, sfidare e sfatare certi modelli che vengono proposti come buoni per la società. La cultura deve avere il coraggio di essere rivoluzionaria oppure conservatrice ma mai tradire sé stessa.

Quale rapporto hai con la città nella quale vivi, anche come fonte di ispirazione?

Sono nata a Firenze e ho sempre vissuto qui, a parte una breve parentesi nella campagna pistoiese. È una città che potrebbe dare molto di più in termini di contributo culturale. Se penso a come era ai tempi delle riviste letterarie degli anni ’30, la città dei grandi scrittori che si riunivano nei caffè del centro, credo che abbia perso molto del suo potenziale. Paradossalmente più che il blasonato centro storico, per me sono più di ispirazione le periferie o meglio i dintorni, come ad esempio il bellissimo monte che sovrasta la città nella sua parte settentrionale. Adoro camminare nella natura e per le vie deserte di certe periferie. Mi procura calma e mi suscita la riflessione.

Cosa pensi della collaborazione e della condivisione tra artisti e scrittori?

Credo che la collaborazione tra artisti e scrittori è un’ottima soluzione all’isolamento a cui spesso sono condannati ora gli uni ora gli altri. Per il momento però mi pare abbastanza rara perché ambedue le categorie tendono a creare dei circoli chiusi, autoreferenziali. La cultura, in questo paese, non è considerata un bene pubblico ma qualcosa di privato. Esistono poche realtà simili agli atelier che possiamo trovare in Germania o in Gran Bretagna dove artisti di vario genere convivono e collaborano a progetti comuni. Questo è una mancanza che influenza anche la possibilità di creare collettivi artistici di ampio respiro.

Parlando dei tuoi scritti ricordi un passo a memoria? Come mai proprio questo?

Ne ricordo diversi, però uno in particolare mi è molto caro. Si tratta di questo:

Lasciami andare nei campi

inondati dal sole,

lasciami prendere

da occhi scuri

e capelli impastati

di sabbia dal vento.

Si tratta dell’incipit della poesia “Moab” e si riferisce alla figura biblica di Ruth. A livello emotivo mi trasmette un profondo senso di libertà come è appunto l’incedere in un campo assolato in estate col vento che muove dolcemente i capelli. È un’immagine che, in un certo senso, mi rispecchia.

Chi sono i tuoi riferimenti letterari o artistici in generale?

Credo che la mia scrittura sia molto debitrice del patrimonio letterario dell’Ottocento e Novecento europei. In particolare, i miei autori di riferimento sono i narratori russi del XIX secolo come Puškin, Gogol, Dostoevskij e poeti come Tjutčev e Blok ma ho anche un debito nei confronti della letteratura mitteleuropea, nello specifico, Stifter, Musil e Kafka. Se consideriamo il nostro bel paese, sicuramente mi sento molto vicina a Campana e a Buzzati. Dal punto di vista musicale ho una grande passione per Johann Sebastian Bach e per quanto riguarda l’arte amo il Simbolismo, l’Espressionismo e il movimento dei naïf.

Sicuramente i lettori di Teatrionline vorranno sapere: qual è il tuo rapporto con il teatro?

Amo il teatro, anche leggerlo oltre che ovviamente vederlo recitato da attori. Il mio sogno nel cassetto è scrivere un testo per teatro ma ancora non credo di averne le competenze. Pirandello e Maeterlinck sono gli autori che prediligo. Purtroppo, recentemente il teatro, come il cinema, è stato messo a dura prova. Probabilmente anche il teatro come la scrittura, avrebbe bisogno di uscire dai luoghi convenzionali e percorrere le strade per rendersi visibile perché credo che le nuove generazioni sappiano molto poco della sua esistenza, dei suoi meccanismi emotivi, del grande potere che esso può avere per una crescita culturale.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Questa è la nota dolente: ne ho troppi e troppo poco tempo. Comunque, per il momento, mi concentro su questo 2021: vorrei che vedesse la luce una nuova silloge poetica e una raccolta di racconti. Il 2020 si è concluso meglio di quanto potessi credere, dato che a dicembre sono riuscita a far pubblicare come curatrice l’antologia poetica “Sulla soglia della lontananza” che raccoglie liriche scritte da 22 autori e autrici sul tema della distanza e dell’assenza. Il ricavato delle vendite sarà devoluto all’associazione Astrolabio di Firenze che si occupa di bambini e ragazzi disabili.

Grazie a Emanuele Martinuzzi per la gradita intervista e un saluto a tutti i lettori.

Chiara Rantini è una scrittrice a tutto tondo, una poetessa che vola sulle ali del pensiero, un Icaro della scrittura.

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